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I Re del Mondo

 Don Winslow in libreria è sempre una buona notizia, anche quando non sfodera il suo romanzo migliore. Naturalmente il ritorno con I Re del Mondo (The King of Cool in originale, titolo bellissimo) a stretta distanza con l’uscita nei cinema de Le Belve puzza di paraculata commerciale, soprattutto se trattasi del prequel di quest’ultimo. Ma i fan dell’autore di San Diego probabile che non siano così schizzonosi, anzi choosy come direbbe provocatoriamente la Fornero.

“E’ più bello de Le Belve?” mi chiedono a freddo stamattina. Boh, probabilmente no. Ma è un piacere ritrovare Ben, Chon e O in un’altra storia. E’ sempre bello leggere Winslow quando ha a che fare con cartelli messicani, poliziotti corrotti, spacciatori di maria e cocaina, surfisti e onde. E’ il suo habitat migliore. D’altro canto prova a risalire alle origini di questo trio, in una trama che ha 2 piani temporali narrativi, alternata a quella di un gruppo di hippie alla fine del sogno “peace and love”. E’ l’America del riflusso.

“Cosa è successo?
Eravamo stanchi invecchiati abbiamo abbandonato i nostri sogni e abbiamo imparato a disprezzarci a schernire il nostri idealismo giovanile ci siamo venduti a poco prezzo non siamo
quello che volevamo essere”

In questo, che probabile sia uno dei migliori passaggi del romanzo, Winslow spiega tutto. Spiega come è cambiata l’America, racconta il dramma di una intera generazione spezzata dalla guerra del Vietnam. E lo fa con una storia, che non è una delle sue migliori, che a tratti può sembrare confusa, ma che mantiene sempre la giusta tensione che ti spinge a divorare il romanzo. D’altronde Winslow già con Satori aveva dimostrato di saper partire da un romanzo già scritto, per riscrevere parti intere degli stessi personaggi, senza perdere mail il filo. E secondo me lo fa, in questo che è probabile il tributo alla sua produzione, in cui facendo apparire anche Frankie Machine e Bobby Z, tira un filo tra le sue storie, nella sua San Diego, come frutto di una enorme storia di malavita e di amicizie. Ok, può sembrare un romanzo di mestiere, probabile che lo sia pure, ma Winslow lo sa fare. E lo dice uno che non ha manco amato La Pattuglia dell’Alba o La Lingua del Fuoco. E se c’è una cosa che mi è piaciuta molto, è stato proprio il tentativo di modificare la propria scrittura, rendendola ancora più tagliente e rapida, mentre a tratti sembrava una scrittura da sceneggiatura cinematografica. Che sia quello lo sbocco del buon Don? Perché è difficile liberarsi di un capolavoro come Il Potere del Cane, perché ormai tutti si aspettano sistematicamente un altro libro a quel livello, rendendo sempre troppo alte le aspettative.

“abbiamo visto un sogno trasformarsi in un incubo abbiamo visto pace trasformarsi in guerra e violenza infinite il nostro idealismo in realismo il nostro realismo in cinismo il nostro cinismo in apatia la nostra apatia in egoismo il nostro egoismo in avidità e l’avidità era buona”

Perciò agli scettici, ai delusi, a quelli anche come me che per buona parte del romanzo, magari nutrivano un pizzico di scetticismo, lasciatevi trasportare sulla giostra Winslow, capace come sempre di regalare dei finali di adrenalina pura, dove i 2 piani narrativi si fondono e tutto torna. Perché è l’America, perché padri e figli sono legati a un doppio filo, e non è vero che le colpe dei primi non hanno conseguenze sui secondi. Perché a Ben, Chon e O, non basta sentirsi dire
“Siete giovani, ricchi, avete bei vestiti, belle ragazze. Avete tutto. Siete dei re. I re del mondo.”
Loro non sono come i loro padri e neanche ci tengono ad esserlo.

Posted in noir - gialli.

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