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Nessuno è indispensabile

 Amo i giorni di festa, non solo perché non lavoro, ma anche perché ho tempo per recuperare un po’ di letture rimaste indietro. In questo fine settimana mi sono messo a leggere un romanzo, di un ragazzo classe 81, alla sua seconda prova: Peppe Fiore con “Nessuno è indispensabile“.

Del libro se ne parla piuttosto bene. La quarta di copertina lo presenta come un piccolo gioiello. Il tutto fa aumenate le aspettative, e se poi ci aggiungiamo un inizio che funziona molto bene, siamo già a metà dell’opera. Nessuno è indispensabile, è lo slogan perfetto per chi si occupa di politiche economiche e di lavoro. Infatti al centro della vicenda c’è soprattutto un luogo di lavoro, un’azienda sana e forte situata nell’agro pontino, dove Gervasini, il protagonista, ci narra le sue vicende di uomo medio e impiegato con velleità di carriera. Tutto prosegue come sempre, con la mediocrità di sempre aggiungerei, se non fosse che nell’azienda sana e forte cominciano a suicidarsi alcuni dipendenti, uno dopo l’altro. E attraverso Gervasini assisteremo non solo alle vicende dello sfortunato e solitario, protagonista ma anche quelle dei suoi colleghi, delle dinamiche di lavoro nella fabbrica, del lavoro stesso. Alienazione, frustrazione, squallore, sono le colonne portanti della fabbrica stessa. Quella buona tanto quanto quella cattiva. Ed è proprio l’habitat costruito da Fiore, dove far muovere i propri personaggi. E fin qui funziona.

Fin qui. Perché poi la storia, a mio avviso si perde, si sfilaccia. Un finale particolare, in parte la riscatta, ma quello che meno mi ha convinto è la caratterizzazione degli altri protagonisti. Mmmm boh. Forse troppo caricaturali, molto poco medi, non troppo credibili. Mi viene in mente ad esempio la figura del sindacalista che sembrava uscita da un film di Fantozzi. Ecco proprio a lui si pensa, seguendo le vicende di Gervasini, ma senza quella feroce critica sociale. D’altro canto, Fiore ha una buona scrittura, una facilità che rende abbastanza armonioso il romanzo stesso ma che non può bastare. L’Italia dei colletti bianchi è meno caricaturale di quella di Fiore ma non per questo meno spaventosa. Anzi. Io che non sono un colletto bianco, non ho dei colleghi meno mostruosi nella loro normalità fatta di outlet, promozioni per tariffe cellulari e report dei programmi televisivi. Ed è proprio la normalità che fa spavento tanto quanto l’alienazione che da il lavoro e non per forza il lavoro in fabbrica o in una grande azienda.

“I colleghi sono persone fino a un certo punto. Per questo si chiamano Risorse Umane”.

Le considerazioni finali sono sulla quarta di copertina in cui si parla di un “romanzo abrasivo comico letterario”, che onestamente non so proprio cosa significhi. Abrasivo, mah. Comico? Mah.. direi pià una black comedy ma di passaggi divertenti non ne ho trovati molti. Letterario dico proprio: boh. Questo per dire che probabilmente Fiore non ha bisogno di essere pompato in questa maniera, anzi. L’accrescere le aspettative per un autore poco più che trentenne, non giova. Ma questo è un problema delle quarte di copertina di molti dei romanzi in circolazione.

PS avevo dimenticato un “grave errore”: il Tufello non è sulla Portuense! Don’t touch my hood!

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