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Arrivano i Sister

 Passare dal kindle di nuovo al cartaceo e per giunta per un romanzo western da una sensazione un po’ strana. A dire il vero ho spezzato il tutto attraverso il Devil di Brubaker (fumetto straordinario) e Esodo di Dj Stalingrad (storie dalla Russia anarco-punk-antifa post sovietica di cui prima o poi dovrei anche parlare) prima di arrivare ad “Arrivano i Sister” di Patrick deWitt, gentilmente regalatomi (grazie Valerio).

Ed è stata una sorpresa questo romanzo che il Los Angeles Times recensiona con “se Cormac McCarthy avesse senso dell’umorismo avrebbe potuto scrivere una storia del genere“, sintesi perfetta di quello che mi sono spolverato tra sabato e lunedì notte. 300 pagine tra l’Oregon e la California, accompagnati dalla voce narrante di Eli Sister, sicario per conto del potente Commodoro, insieme al fratello Charlie. Spietati killer conosciuti e temuti in tutto il west, Charlie ed Eli, per svolgere il loro lavoro dovranno arrivare fino a Sacramento, dove Warm ha avuto in affido una miniera d’oro e sembra custodire una preziosa formula per trovare l’oro più velocemente.

“Ma voi siete uomini di legge?”. “No, siamo l’esatto contario”.

Eli e Charlie, fratelli uniti nella lotta, legati da un filo indissolubile nonostante le enormi differenze caratteriali, si troveranno sul loro cammino una serie di personaggi al quanto particolari: prostitute, castori, un orso rosso, una strega, un bambino a cavallo e un dentista che “spaccerà” loro una preziosa pasta per i denti… In un cammino che li porterà a Sacramento mettendo in discussione se il lavoro va fatto oppure no.

Divertente e malinconico, i due killer, i Sisters Brothers (in originale “i fratelli sorelle”) lasciano il segno. Violenza, humour, la disabitudine ad ambientazioni western, situazioni grottesche, danno al romanzo la sensazione di stare in pieno in un film dei fratelli Cohen. Dialoghi e situazioni simili, per un genere, quello western, che tutti danno per morto ma che riesce ancora a divertire ed emozionare, il tutto sostenuto da una scrittura, quella di deWitt, particolarmente riuscita e di talento.

“Non avrei mai scritto un western se non mi fossi imbattuto, casualmente, in un libro sulla corsa all’oro”. Tutto è cominciato da un esercizio di scrittura. Ne faccio tanti e poi li abbandono. Tra questi c’era un dialogo fra due uomini infelici a cavallo. Mi ero divertito a scriverlo. Poi, non ci avevo più pensato. Mesi dopo l’ho ripreso in mano. Di solito quando mi rileggo non ritrovo la magia iniziale, invece in quel testo qualcosa rimaneva. Tempo dopo ho trovato, nella libreria sotto casa, un volume sui cercatori d’oro pieno di fotografie. Immagini di minatori con i vestiti laceri e con delle pepite grandi come pagnotte in mano. Ho provato a immaginare quell’epoca brutale nella quale ciascuno pensava a se stesso. Uomini aggrappati alla vita per sfuggire la morte che li assediava”.

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