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Due Fratelli

 Per chi, come me, è cresciuto a pane e Mister No trovarsi tra le mani un fumetto, una storia, ambientata in quella Manaus del dopoguerra è un po’ come ritrovare i luoghi dell’infanzia. Oltretutto Fabio Moon & Gabriel Bà usano quello stesso tratto bianco e nero, netto, deciso. Sto parlando di Due Fratelli adattamento a fumetti dell’omonimo e famoso romanzo brasiliano di Milton Hatoum.

A dire il vero non l’ho scoperto da solo: l’altra sera mi è arrivato un messaggio con la foto della copertina con scritto “prendilo è bellissimo”. Mi fido della segnalazione, del resto noi lettori e lettrici di fumetti facciamo rete e comunità per far fronte alle decine e decine di uscite che ci sono ogni mese.

“Volevo prendere le distanze da tutti quei calcoli, dal progresso ambizioso. Il futuro questa menzogna che persiste”.

Omar e Yaqub sono due fratelli gemelli. Figli di una coppia di immigrati libanesi trasferitisi in Brasile nei primi anni del Novecento. Gemelli identici tanto da dire che “vivono lo stesso corpo” eppure sono divisi da un odio implacabile, atavico quasi. Divisi per qualche anno dai genitori dopo “il fattaccio” si ritrovano in adolescenza di nuovo nell’enorme casa di famiglia dove i genitori vivono insieme all’altra figlia e a Domingas, domestica india, il cui figlio è testimone degli eventi e narratore della storia, ricomposta in un puzzle narrativamente perfetto. Non avendo letto il romanzo originale non posso assolutamente fare paragoni o dare un giudizio sul come è stato adattato ma posso però affermare che lo sviluppo dato dai 2 fratelli brasiliani è semplicemente perfetto.

“Il nostro editore brasiliano ci ha proposto di realizzare un adattamento a fumetti del romanzo di Hatoum, che da noi è un classico moderno. Credo che l’idea gli sia venuta dopo averci visto parlare con lui a un festival della letteratura e, in quell’occasione, si sia chiesto che ne sarebbe saltato fuori se due gemelli fumettisti avessero raccontato la storia dei due gemelli protagonisti del libro. So che non è molto famoso fuori dal nostro paese, ma è davvero una grande storia, quindi abbiamo deciso di rappresentarla con tutta la potenza drammatica di cui siamo capaci e pensiamo di aver fatto un buon lavoro. Si tratta di un racconto con cui chiunque può entrare in relazione, per quanto ambientata in luoghi molto esotici come Manaus e la Foresta Amazzonica”

Amori, tradimenti, vendette, sullo sfondo un Brasile in trasformazione, la decadenza di Manaus, la dittatura militare, le baracche distrutte dal governo per riqualificare l’ex capitale della gomma ormai in rovina. Il tutto accompagnato da un tratto che rende perfettamente l’atmosfera, i contrasti, fino ai colori di quella foresta amazzonica e del Rio Negro che penetrano nelle vite e nelle case di questa città. E’ un’immersione piena in questa atmosfera che ti porta a divorare pagine dopo pagina parole e tavole in un crescendo di emozioni. Colpisce un odio così profondo tra fratelli soprattutto per chi, come me, ne ha due, con cui in oltre 40 anni di età non ho mai avuto una vera discussione.

“Le culture non sono a tenuta stagna, non ci sono frontiere rigide tra loro. Per questo non mi piacciono le classificazioni, del tipo “letteratura di immigrazione o di immigrati”. Quella è una facilitazione, una comoditá terminologica. È molto facile classificare, non è vero? Mio padre era immigrato, ma neppure lui credeva a una vita gregaria, chiusa, di una comunità. Lui, che era musulmano, non mi ha obbligato né ha voluto che io aderissi alla religione. La mia famiglia non ha mai partecipato a club comunitari, parrocchie di immigrati e cose simili. Rispetto il gregarismo sociale, religioso o etnico, ma se quello diviene esacerbato può annullare l’interesse, la curiosità o proprio la necessità che l’essere umano ha di conoscere altri popoli. Il gregarismo può divenire addirittura una barriera politica e una enorme limitazione intellettuale, perché corri il rischio di non interessarti ad altre culture e molte volte non ti accorgi della sofferenza e la disperazione delle altre comunità.” [Milton Hatoum]

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