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L’Armata dei Sonnambuli

 Eccomi, dopo tanto tergiversare, sono pronto ad affrontare e raccontare quel che penso de “L’Armata dei Sonnambuli” dei Wu Ming, letto questa estate. Sono pronto anche ad affrontare il Tribunale del Popolo per ciò che sto per scrivere. Pronto a rispondere alle accuse che faranno del sottoscritto un anti-rivoluzionario conservatore e traditore del Sol dell’Avvenire.

Dall’uscita di questo romanzo sono stato sommerso di recensione entusiastiche. Tendenzialmente mi fido di poche persone ma se anche loro erano si erano molto appassionate all’ADS, non avevo più dubbi sul fatto che avrei dovuto leggerlo. Eh sì perché quello del lettore è un “mestiere” e non puoi sempre snobbare ciò che gli altri leggono. Anzi. Quindi appena uscito l’ho comprato e conservato fino alla vacanza estiva, altrimenti le 800 pagine avrebbero monopolizzato un paio di settimane del tempo che riesco a trovare per la lettura e mi avrebbe fatto ulteriormente accumulare arretrati. Vabbè sto perdendo vigliaccamente tempo e non sto andando al punto:
a me l’ADS ha annoiato. E non lo dico perché magari uno possa pensare che mi piace andare controcorrente. Maddechè. Io sono un uomo medio, con gusti medi, strenuo conservatore nel solco della tradizione. Ma ho voglia di dirlo subito, perché quel che rimane della lettura di un libro sono le sensazioni e le emozioni prima di ogni considerazione e analisi dello stesso.

Il lavoro fatto per questa ADS è un lavoro enorme e importante. C’è ricerca, c’è analisi e c’è la voglia, ancora una volta, di cimentarsi nel romanzo storico, rilanciando un genere troppo spesso usato a uso e consumo della narrativa da quattro soldi mentre, come afferma Wu Ming 2 in un saggio “il romanzo storico non cerca né il vero né l’utile ma punta a falsificare la narrazione dominante, mostrarne le stratificazioni, sostituire allo stereotipo il conflitto”. E questo credo che tutto sommato sia riuscito. Perché il punto è proprio questo, per tutta una serie di motivi ADS riesce ed è impeccabile nel lavoro di ricerca, costruzione e decontrazione della storia stessa. Il voler raccontare il passato per dare chiavi di lettura del presente è uno strumento narrativo che io amo. Perché se è vero che ADS parla della Rivoluzione francese, concentrandosi soprattutto sul periodo del Terrore, l’obiettivo dei WM è proprio quello di scrivere un romanzo che non sia statico, che non si ferma alla pagina scritta ma che in qualche modo spinge il lettore stesso a interrogarsi, a confrontarsi e a trovare quelle similitudini che le pieghe della storia regalano sistematicamente. Perché l’epoca che viviamo è satura di percorsi rivoluzionari o pseudo tali, a volte populiste, altre volte rosso-brune, spesso strumento degli stessi poteri che hanno bisogno di trasformarsi, rigenerarsi, mutare per mantenere quello status-quo e le stesse funzioni di sempre. E in mezzo c’è quella plebe, che i WM disegnano e descrivono con dovizia, il loro umore violento ma vitale, perché la violenza è necessaria se vuoi ribellarti alle violenze quotidiane che subisci. E’ la catarsi.

Magari chi sta leggendo sta recensione starà pensando “embè dopo tutto sto pippone vorresti dimme che nun t’è piaciuto?”. No perché il dubbio sta venendo anche a me. Ma confermo quel che ho scritto prima: mi sono annoiato. E il perché dipende da diversi motivi più o meno importanti. Il fatto è che non sono mai riuscito a calarmi pienamente nel romanzo. Ho faticato parecchio nella lettura. Di sicuro visto il peso e la grandezza non è proprio “un libro da spiaggia” ma è oggettivo che non abbia mai avuto il passo per stare dietro alla complessità della storia. Sì passo, un po’ come i ciclisti quando scalano una montagna. E allora è stata una apnea continua, a tratti ho addirittura faticato e quando sei in affanno leggendo un romanzo c’è qualcosa che non va. Non sono riuscito a empatizzare con nessuno dei personaggi, non mi hanno convinto. Un altro dei motivi che mi hanno lasciato perplesso è che ho trovato diversi passaggi piuttosto faticosi. Non so se trovo ostica la scrittura dei WM, forse nell’Armata c’è troppa roba. Amo un genere di scrittura più semplice, più essenziale, nel senso che mi piace una scrittura secca, ridotta all’osso. Da qui le mie difficoltà. Ma mi è piaciuta la voglia di rendere pubblica la storia e il ruolo delle donne nel processo rivoluzionario francese, troppo spesso taciuto, ma i personaggi costruiti per farlo non mi hanno emozionato. Forse è stato questo il problema. Per calarcisi in una storia bisogna trovare quell’empatia, quel qualcuno che ti rappresenta e in cui vederti, mentre a me non è successo. Da qui la mia delusione.

Chiudo qui perché potrei andare avanti per ore e sembra quasi che io stia cercando un modo “per scusarmi” se sto scrivendone la delusione. Chiudo qui oltretutto perché gli spunti che regala ADS sono tanti, tantissimi. Così come “i tributi”. E non dimentico il fatto che “il teatro” è una delle grandi metafore racchiusa nel libro. E’ forse qui che il pettine si ferma al nodo principale: io non ho mai amato particolarmente il teatro. Forse tutto torna.

Posted in narrativa.

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One Response

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  1. alpha_canis says

    viva la sincerità no?
    mi accodo in parte e sottolineo il coraggio di scrivere il proprio pensiero. Su una cosa non concordo il libro è anche da spiaggia , la storia è soft ma certo capisco che se ti ha annoiato diventa difficile leggere al mare. Però vorrei suggerriti un altro livello di lettura della tua noia (che forse noia non è) ovvero una lettura più politica. Il libro è forse il loro più attuale politicamente. Questo fa si che smuova molte cose nell’animo delle persone che ne possegono uno impegnato. Il problema è che grazie alla soggettiva interna della narrazione sfugga il vero taglio di chi l’ha scritto. Potrebbero voler dire quasi qualsiasi cosa e questo disturba , fa fare dei pensieri , ci stacca dall’intreccio. Poi si chiude il libro e si ripensa che forse si è capito che vogliano dire e a me non è piaciuto. L’unica sensazione in cui mi sono immedesimato è quando viene descritta la scena dell’impedimento a parlare e poi del pestaggio politico delle donne protagoniste, quel senso infinito di rabbia e frustrazione di capire che le cose stanno finendo e cambiando forse per sempre. Le controrivoluzioni non le fanno i reazionari, ma i propri compagni di banco, questo dice la Storia, mentre il libro dice più il contrario.
    come tu hai fatto anche io ho voluto dire la mia per unirmi al coro dei dissidenti, senza presunzione (e se sembra che lo sia chiedo scusa) e con lo stesso entusiasmo di chi fa il lettore part time. E non credere che siano così pochi i lettori dissidenti, solo che non lo dicono per non essere impopolari….ahhahahahah

    aspettavo con molta curiosità la tua recensione e grazie di avermi stupito