Premessa: avevo giurato e spergiurato che non avrei mai letto questo romanzo. Facevo tutto er fico dicendo “ma colcazzo proprio che mi leggo il seguito di Shining” etc etc. Del resto più volte ho sottolineato il fatto che io sia un cazzaro di prima categoria. Bene perché alla fine, nonostante per un attimo sia arrivato a pensare “che faccio lo dico che alla fine l’ho letto o tengo il punto e continuo a vantarmi del fatto che non lo leggo?” ho deciso di “confessare”: sì ho letto Doctor Spleep di Stephen King, il romanzo che nella testa dell’autore, va a continuare le vicende interrotte in Shining.
Ricordate il bambino biondino con i capelli a caschetto che sfrecciava col suo triciclo per i corridoi dell’Overlook Hotel nell’adattamento cinematografico di Kubrick? E’ Dan Torrance, figlio di Jack Torrance, ed è il protagonista del romanzo. Il filo conduttore tra le due storie è lui, insieme alla “luccicanza”, quello straordinario potere che è un mix di premonizioni, telecinesi e telepatia, che afflige Dan e lo porta all’alcolismo. La stessa deriva di suo padre? Stesso destino?
Sulla trama non aggiungerò altro. I libri di Stephen King vanno letti e scoperti, riassumerli sarebbe abbastanza sciocco. Perché al di là di ogni considerazione riguardo questa storia, King sa costruire e narrare storie come pochi altri autori al mondo. Poi venite pure a raccontarmi che è un autore di genere, che un thriller o un horror non possono essere alta letteratura, la pernacchia è pronta. Poi ok l’eterna lotta tra bene e male non mi appassiona troppo. I diavoli e i demoni mi annoiano, un po’ come tutto il fanta-horror. Non riesco proprio ad appassionarmici, tranne quando questi generi vengono rivisitati dai grandi. E King è in assoluto uno dei migliori. La trama scivola via benissimo. I riferimenti al precedente sono precisi tanto che la storia va a incastrarsi in maniera perfetta. Ritmo, personaggi, ambientazione, tutto fila via con mestiere. L’horror può essere terrificante ma a volte sa essere salvifico. Ed è quello che sceglie l’autore. Il percorso di Dan sarà diverso da quello del padre e lo condurrà verso…
“Era buono, ma anche cattivo, e gli volevo bene per quel che era. Che dio mi perdoni, gliene voglio ancora. Succede alla maggior parte dei bambini. Ami i tuoi genitori e incroci le dita. Che scelta hai?”.
Uff difficile non dire proprio niente. Difficile non parlare di alcuni passaggi senza entrare nella trama o anticipare tutto. Quindi mi limiterò a descrivere qualche sensazione. Il romanzo è leggibile e buono. Non è uno dei migliori, però rimane un buon sequel senza avere la pretesa di essere solo un sequel. I personaggi brillano di luce propria e non arrivano dal passato, tranne qualche rara eccezione. Intrattiene, un po’ (poco a dire il vero) spaventa, non è cattivo come mi sarei aspettato, ma riesce a coinvolgerti pienamente. Unico difetto? Le 516 pagine. Troppe. Però è un King diverso da quello di 36 anni fa, è diventato un autore maturo, con una capacità di scrittura impressionante, a tratti anche troppo perfetto. Si diverte e ama quello che fa. D’altronde nella postfazione dice chiaramente che aveva voglia di scrivere un romanzo che facesse davvero paura al lettore (secondo me sta cosa gli è riuscita in parte) e poi perché voleva chiudere dei conti con il passato. Quello suo, soprattutto. Quello con l’alcolismo, anello di congiunzione tra Jack, Dan e Stephen.