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Graphic novel is dead

 Davide Toffolo soffre di mal di schiena.
Io da un paio di giorni soffro di mal di schiena.
Quindi quando stanotte ho cominciato “Graphic novel is dead” e già dalla prime tavole l’autore ci racconta la sua sofferenza, non ho potuto far altro che sorridere e pensare che avrei empatizzato facilmente. Così non è stato.

Questo fumetto è una autobiografia. Toffolo stesso la presenta come una commedia, autobiografica, in cui la spalla è il suo uccellino Pepito. In qualche modo, attraverso una scrittura e una ricostruzione non lineare, l’autore si racconta, in una serie di pensieri e riflessioni, che vanno dalla sua carriera artistica musicale, passando per il fumetto e quello che rappresenta, fino alla sua vita affettiva/sessuale.

“Con la graphic novel gli autori si sono riappropriati della possibilità di raccontare attraverso il fumetto, non più in una dimensione industriale ma aurorale. In questa situazione il fumetto diventa un luogo di libertà e non di omologazione”.

Toffolo è un autore indipendente. È molto bravo, ha un tratto che mi piace e in questo ultimo lavoro è accompagnato ai colori da Alessandro Baronciani che fa un lavoro superbo. Le tavole sono molto belle da vedere e da leggere, l’edizione della Lizard idem, il che farebbe sperare in un capolavoro. Ma non è così.
Devo ammettere che a me a pelle Toffolo non è simpatico. Nulla di personale, non so manco che faccia abbia eppure nonostante io lo apprezzi non mi ha mai suscitato particolare simpatia. Di comico in questo libro non ho trovato nulla. Al contrario ci sono diversi passaggi che mi sono piaciuti, altri meno perché un po’ troppo superficiali. D’altronde l’incipit del libro puntava in alto ma è il fumetto stesso a volare basso.
“Troppo pretenzioso” ho commentato tra me e me a fine lettura. Troppo pretenzioso perché forse Toffolo confeziona questo libro come se dovesse mostrare qualcosa al mondo esterno e non ne ha bisogno. Non ha bisogno almeno di farcelo sapere perché poi costringe il lettore stesso a fare una valutazione. Non viene ucciso il graphic novel (anche se io preferisco chiamarlo fumetto) perché come ogni arte, vive di luce propria e della luce degli autori nel momento. Non morirebbe neanche se tutti smettessero di disegnare.
La sensazione che ho avuto è che all’alba dei 50 anni, Davide Toffolo è pronto a rilanciarsi. Ha fatto pace con la “provincia meccanica” (cit) ed è pronto a lasciarsela alle spalle per andare in città. Come se fosse a un punto di svolta della sua carriera artistica, sia del Toffolo fumettista che del Toffolo cantante.

E viste le citazioni presenti su Zerocalcare, ho anche la sensazione che il trentenne romano (sì ne hai 30 ora, zio) abbia talmente scosso tutto il mondo del fumetto che gli autori che ne hanno fatto la storia si sentono ancor di più stimolati a lasciare l’impronta. Spero sia così, come spero che la sovraesposizione di ZC sia linfa per tutto l’ambiente. Probabilmente tra qualche anno avremo un uomo in più in psicoanalisi, ma molti di più finalmente non più sconosciuti o di nicchia.

“A quindici anni diventai punk. Era il 1980. Mi attiravano quegli strani individui vestiti come alieni. Volevo diventare come loro. Ma è stato a Napoli, precisamente al Comicon del 2013, che ho portato a termine il mio piano. L’autore che diventa personaggio. Un salto mortale triplo. Io, uguale fra gli uguali. Assieme agli ultimi, come è sempre stata la mia vocazione. A prendere la vita, per farne letteratura e mostrarla al mondo. Io, autore e personaggio, fra i personaggi e le loro incarnazioni. Io uguale fra gli uguali.”

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