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Dodici

 Zerocalcare ha vinto. E ha vinto non solo perché è l’unico autore di fumetti mainstream in circolazione ma soprattutto perché recentemente ha avuto l’endorsement di due intellettuali italiani: Vincenzo Mollica e Mario Adinolfi. Questo la dice tutta sul fenomeno ZC e potrei chiudere qui qualsiasi commento e o recensione su Dodici il suo quarto libro a fumetti, o il secondo fumetto con un volume autoconclusivo.

Ha vinto perché Dodici andrà bene e avrà un’ottima risposta da parte dei suoi fans. Venderà svariate migliaia di copie e avrà ottime recensioni. Ha vinto perché ormai chi legge Calcare e non ama il fumetto in maniera particolare, se ne fotte della storia e della costruzione, se ne fotte del ritmo o delle intuizioni dell’autore. Se ne fotte perché cerca quei personaggi/spalla che ha fatto diventare “famosi”, cerca i suoi riferimenti ultrapop e si esalterà per “lo scontro idealistico” tra Peppa Pig e Ken il Guerriero, saggiamente narrata dal Secco (soprannome che però poco si addice al vero XXX). E aggiungo senza dubbio che Dodici è un buon volume e segna un altro passo nella crescita di questo autore. Perché se il Polpo alla Gola aveva diverse pecche, con Dodici tutta una serie di dubbi vengono rimossi, probabile perché scelga di nuovo una formula narrativa a lui più cara: flashback, ironia e una bella cartolina del suo quartiere. Che probabilmente è la parte migliore del libro stesso.

Ok non sono un fan de tutta la roba zombesca (me faccio dù cojoni che lèvate). Ho visto una puntata di Walking Dead e me sò addormito. Però la storia zombie fa solo da collante alla vera narrazione: è un tributo a Rebibbia, al quartiere di una vita, a quella appartenenza che è patrimonio di chi vive in città grandi come Roma. E qui, come del resto “la storia a colori inedita” nella raccolta “Ogni Maledetto Lunedì su due”, che Calcare da il meglio. Il parallelismo con il carcere, la lentezza della periferia romana, soprattutto quella che è cresciuta intorno a vecchie borgate, stretta tra una via consolare e un’altra, sono pagine che mi sono piaciute molto e che ancora una volta, con mio disgusto ovviamente, dimostrano che ZC sa scrivere e ha giusta sensibilità di chi vive con gli occhi aperti e ha spirito di osservazione. Ma soprattutto continua a provare ad uscire dalla sua solita narrazione con storie uniche, più articolate e con diversi personaggi da caratterizzare. Bravo.

E siccome non mi pagano per parlare bene di ZC, torniamo alle cose che meno mi hanno convinto, perché qualcuno ste cose je le deve pur dire al ragazzo che altrimenti pensa di essere un misto tra Daniel Clowes e David B quando al massimo je potrebbe temperà le matite. Perché se sul piano narrativo, questo funziona molto meglio del polpo alla gola, rimane quella sensazione avuta anche nell’altro: pure stavolta l’ha finito di corsa. E non lo dico perché un po’ lo conosco ma proprio perché rimane un finale un po’ appeso, un po’ così, diciamo di quelli che ti puoi permettere quando sei a fine carriera e non ti va più di fare niente.

Ma rimane il giudizio iniziale: Zerocalcare ha vinto. Ha sdoganato il fumetto, reso ultrapop, portato nelle librerie di chi non è abiutato a leggerli o anche in quelle di personaggi disgustosi come il già citato Mario Adinolfi. Il segreto non è più un segreto, la formula è perfetta e ancora non stanca, ma soprattutto ZC ha talento. Gli va solo dato tempo di crescere, pure si ormai c’ha trentanni e j’è so rimaste solo un altro po’ di cartucce giovani da sparare. Daje.

 

 

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