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Prendete e bevetene tutti

20130303-233736.jpgSecondo romanzo per Giovanni Negri, già parlamentare del Partito Radicale e esponente poi del PSDI (!!!): un paio di anni fa era uscito il buon “il sangue di Montalcino”, sempre per i tipi di Einaudi, che come questo “Prendete e bevetene tutti” è collocato in un contesto particolare, ovvero nel mondo tutto particolare del Vino.
Chi l’avrebbe mai detto eh? Con due titoli così dite che ci poteva arrivare anche un elettore medio leghista?

Il vino non è solo il prodotto finito che trovate confezionato in una bottiglia, ma ha dietro secoli di passione, di prove, di tentativi, di sperimentazioni, di sudore della fronte e di guerre tremende fra produttori: è all’interno di questo ambito che Negri (che sa il fatto suo, essendo produttore di vini nelle Langhe) disegna le vicende del commissario Cosulich, personaggio in realtà meno “caricaturale” di tutta la serie di investigatori/poliziotti/avvocati/giornalisti che occupano le pagine della narrativa gialla e che sembra sia un dovere disegnare con qualche fissazione particolare (vogliamo aprire un dibattito sul tema?).
Unico vezzo del commissario in questione il calzare sempre delle scarpe Skaplas, retaggio culturale dell’impero Asburgico (fabbrica – immaginaria – con sede a «Trst – Budapest – Wien») e omaggio della memoria da parte di un commissario con origini giuliane e, quindi, mitteleuropee.
La vicenda all’inizio appare semplice: Mario Salcetti, produttore di fama internazionale di «bollicine» (ovvero di brut Franciacorta) sparisce dalla sua lussuosa villa nel primo giorno dell’anno.
Salcetti non é un semplice vignaiolo o un imprenditore come tanti, é il guru della Franciacorta, il bomber, colui che ha lanciato il guanto della sfida allo Champagne: ovvio che per la sua misteriosa scomparsa si attivino i pezzi grossi del ministero e che da questa agitazione venga suo malgrado travolto anche Cosulich che deve mettersi in viaggio da Roma alle colline bresciane.
Negri costruisce in maniera impeccabile un gioco di scatole cinesi che parte dai misteri e dagli interrogativi che avvolgono la scomparsa dell’imprenditore: stava lavorando per sferrare l’attacco definitivo alle bollicine francesi o la sua ricerca andava in una direzione più profonda, verso i legami stretti fra cristianesimo e vino?
Attorno a lui si muovono una serie di personaggi interni al mondo dell’enologia: dal presidente del consorzio dello Champagne (che ancora guarda i vignaioli bresciani con sufficienza) a colleghi locali del Salcetti, invidiosi del suo successo e colpevoli di non essere ambiziosi e non aver capito per tempo l’innovazione fatta di Saten e Pas Dosè, passando per due figure enigmatiche ma centrali, due donne importanti nella vicenda stessa: una giornalista specializzata sul vino e la maggior produttrice californiana di brut.
La ricerca di Cosulich si svolge rapida e ritmata come nella stile di narrazione stesso, si sposta sulle assi di un’Europa che non è solo quella delle colline coltivate a vite ma è quella delle abbazie cistercensi, che negli anni del primo Medioevo hanno portato avanti, con coraggio, la coltivazione dei grappoli d’uva.
Ogni mistero svelato ne lascia irrisolto un altro e la prosa piacevole e sobria accompagna il lettore in una prospettiva dove tutto é più complesso di quanto sembra, falso (vi siete mai sbronzati di bollicine?) e volatile come le bollicine del Brut.
Un libro coinvolgente, solido e maturo senza avere pretese, un po’ Dan Brown (manoscritti, abati, frasi taciute da secoli) e un po’ saggio di enologia per masse, fra misteri secolari e nuovi e clamorosi sviluppi geografici nella coltivazione dell’uva.
Negri – che in un paio di spunti gioca, consapevole di essere preparato e autorevole sul tema vino – si conferma scrittore interessante, così come il precedente anche questo libro, molto verosimile e realistico se non proprio vero,soddisfa il palato, proprio come un buon bicchiere di vino.

Ps: postilla di polemica gratuita, rivolta a nessuno in particolare. Il vino é buono, elemento imprescindibile nella cultura mediterranea dai tempi dell’oinos greco. Detto questo, così come in altri contesti, gli spocchiosetti del vino, quelli che se la menano, i saputelli, possono morire.
Ppss: bisogna ammettere che in Franciacorta si produce buon vino. Purtroppo per loro sono dalla parte sbagliata del fiume Oglio e restano nella loro miseria umana data dall’essere nati bresciani, ma tanto di cappello per quanto producono.

Posted in noir - gialli.

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2 Responses

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  1. kappa says

    mai detto di saper fare il vino, noi ce lo beviamo… per il resto, ci vediamo quando venite in serie A… già, ma quando?

  2. pppsss I, II, III says

    in franciacorta si producono bollicine buone. il resto è pari al tavernello o poco più. terre di franciacorta, rossi, bianchi e neri meritano il rogo, loro e chi li produce.
    la miseria umana è di chi ha due trape di uva disperse in dieci valline e vallette e una bassa desolata e vuole ancora parlare di vino.
    gli spocchiosetti del vino sono solo tra l’adda e l’oglio, schiacciati e dominati tra il Grandi Fiumi.