Skip to content


Ragazzo negro

A volte ti capitano dei libri sottomano che non conosci e magari un po’ per noia un po’ curiosità li cominci a leggere. La mia compagna si sta passando in rassegna molti libri di autori afroamericani, coloro che hanno formato la letteratura black statunitense. Alcuni li ha presi dalla mia libreria, dove mi atteggiavo a conoscitore, ma né conoscevo né sapevo dell’esistenza di Ragazzo Negro di Richard Wright, con tanto di postfazione del buon Portelli.

Nelle 300 e passa pagine del romanzo, un po’ di formazione e molto autobiografico, l’autore ci racconta la sua infanzia e la crescita fino alla maggiore età nel Sud dell’America negli anni ’20. Povertà, razzismo, violenza, elementi quotidiani dei neri d’America, nelle zone più infami, dove tuttora il razzismo è ancora presente con forza. Dolore, privazioni, precarietà psicologica e fisica, accompagnano le giornate del piccolo Richard. La scuola saltuaria, i continui spostamenti, la madre malata e una famiglia bacchettona e invasata di religione, sono il contorno della sua esistenza. Una comunità, quella nera, soggiogata dalla violenza e dal razzismo dei bianchi, costantemente sotto minaccia e in pericolo di morte, è l’ambiente in cui si forma l’autore. La voglia di riscatto passa attraverso la fuga verso il nord e dalla propria famiglia. Richard non è un nero come gli altri, tanto che alla fine risulterà un elemento estraneo alla sua famiglia quanto alla sua comunità.

“Da dove avevo tratto tutto questo desiderio di libertà? Come mai ero capace di agire in base a nozioni vagamente comprese? Che cos’era che mi faceva sentir le cose così profondamente da farmi ordinare la vita in base ai sentimenti? Il mondo esterno di bianchi e neri, che era l’unico mondo ch’io avessi mai conosciuto, non mi aveva certo infuso alcuna fede in me stesso. La gente che avevo incontrato consigliava e chiedeva sottomissione. Che cosa perseguivo allora? Come osavo considerare i miei sentimenti superiori a quelli del grande ambiente che cercava di accaparrarmi?”

Richard va di fretta. Non aspetta e non filtra i suoi ragionamenti. La sua è una fuga, sì. ma una fuga in avanti. Non ha davvero finito le scuole ma ama leggere e scrivere. Sceglie il silenzio, di scomparire dalla collettività, eppure ogni sua azione, ogni suo gesto, non rimangono inosservati.

“Lo vedi? Eccoti qua. Ti si legge in faccia. Tu non vuoi che la gente ti dica nulla. Tu corri troppo. Io sto cercando di aiutarti e tu non ne vuoi sapere. Guarda Dick, tu sei nero, nero, nero, capisci? Riesci a capirlo?”

Non c’è riscatto, ma c’è solo rabbia. C’è il ritratto della peggiore america, quella che ancora oggi fa fatica a liberarsi dal razzismo. C’è l’odio di una comunità che arriva ad odiare se stessa. C’è la voglia e la forza di un ragazzo di non accettare il suo destino da nero del sud. C’è la bravura di uno scrittore che tira fuori un libro scritto splendidamente, coinvolgente, a tratti commovente, nonostante la durezza del racconto. Un romanzo da leggere, assolutamente. E’ uno dei padri fondatori della narrativa afroamericana e che ha dedicato la vita alla lotta al razzismo e alla segregazione.

Wright è stato uno di coloro che mi hanno reso consapevole della necessità di lottareAmiri Baraka.

 

PS: Il titolo originale è Black Boy che significa Ragazzo nero e non negro, parola che viene usata per tutto il libro. Traduzione che oggi ci può sembrare (giustamente) sbagliata ma c’è da sottolineare che l’edizione italiana del romanzo è del 1946.

Posted in narrativa.

Tagged with .