Una domenica così grigia mi da il tempo di mettere nero su bianco alcune considerazioni sul libro finito qualche giorno fa: Valerio Verbano – Ucciso da chi, come, perchév di Valerio Lazzaretti. Una storia che è una ferita aperta per questa città, soprattutto per chi come me è nato in quello stesso quartiere.
Faccio subito una premessa, conosco Valerio Lazzaretti, archivista e compagno. La seconda premessa è che la notte precedente a quella in cui ho finito questo libro, un compagno di un centro sociale di quel quartiere, è stato aggredito sotto casa, di notte, da un manipolo di fascisti incappucciati (daje Lucò!). Sensazioni strane e forse se ho aspettato tanto per leggere un libro comprato qualche mese fa, è per una certa voglia di non parlare più di questi personaggi, che detesto più di ogni altra cosa.
Di quella che è la mia memoria del quartiere e della vicenda Verbano non parlerò visto che l’ho fatto abbondantemente un anno fa, recensendo il libro della mamma di Valerio, la tenace Carla, insieme a Capponi del Corsera. Questo di Lazzaretti non è un romanzo. E’ una ricerca, precisa e interessante, fatta dall’autore, tra l’analisi dei documenti, le carte processuali e le deposizioni di alcuni dei protagonisti dell’epoca. Valerio nel suo lavoro, cerca di offrire spunti, di incrociare carte e dichiarazioni, di dare un senso globale a tutta la storia. Una ricerca approfondita, dettagliata, che onestamente non mi aspettavo. Una panoramica sulla destra eversiva degli anni 70, un lavoro di ricerca sull’area dei NAR e di TP, soprattutto quella presente verso Roma nord, più precisamente nei quartieri limitrofi a quello di Verbano, il quartiere Trieste e Talenti. Molti dei leader di allora, li ritroverete sulle cronache cittadine, qualcuno in politica e qualcun altro con qualche incarico amministrativo nella nera Roma di Alemanno.
E Lazzaretti tira fuori un volumone che non lascia delusi. Affronta tutte le piste che negli anni sono state “fiutate” dagli inquirenti, che però troppo spesso, non hanno voluto approfondire. Ma alcuni aspetti rimangono comunque inquietanti. Soprattutto pensando alle tracce non seguite dagli inquirenti stessi. L’omicidio Verbano rimane oscuro ma alcuni spunti offerti dall’autore sono molto interessanti e sta al lettore tirare tutti i fili che vengono stesi. Non avrete i nomi degli assassini di Valerio ma una idea ne può uscire fuori. E tra spaccature, liti, delazioni varie, nell’ambiente neofascista, una cosa però è chiara: delle pagine più nere e infami che provengono da quell’area, nessuno ha mai parlato, nessuno ha mai avuto il coraggio di spendere una sola parola. Che quelle storie si chiamino Fausto e Iaio o Valerio Verbano o la strage di Bologna, da parte dei camerati, anche quelli che ora ricoprono incarichi istituzionali, non è mai affiiorato nulla. Nessuna sorpresa del resto, da parte di chi all’epoca, rivendicava spesso le sue azioni attribuendole alle BR o a qualche altra formazione della sinistra extra-parlamentare. Da chi era imbevuto di quella mistica fascista, mista a un po’ di eroismo che sembra uscito dal fumetto di Thor e tutte le stronzate simili.
“L’autore ha faticato, ora tocca al lettore di faticare, leggere, capire, incrociare dati, dedurre. Provare a leggerlo come se fosse un libro giallo. La metafora del libro giallo serve a dire: non aspettatevi che vi si dicano i nomi degli assassini. Di solito non lo si fa, anzi, proprio chi ha il libro in mano prega che non gli si dica come va a finire. D’altra parte autore ed editore non hanno la veste per stilare mandati di cattura, né la forza per farli eseguire, né il luogo in cui detenere gli arrestati e interrogarli. C’è chi lo fa istituzionalmente.
Per questo ha poco senso sottolineare certi nomi, quei nomi che non si fa molta fatica a isolare e a individuare. Mentre ha molto senso riproporre un metodo, una disposizione molto comunista, che poi era quella di Valerio Verbano. La disposizione a guardare criticamente, a cogliere, ad annotare, a organizzarsi.”