Scelgo un posto particolare, nel cuore della terra sarda, per cominciare a scrivere le recensioni dei primi libri letti in questo scorcio di vacanza. Tra la nave e il breve soggiorno a Berchidda, dopo aver evitato i fiumi di ichnusa che inondavano il paese, ho letto Il Nazista e il Barbiere, romanzo ironico e crudele di Edgar Hilsenrath, ormai 85enne ebreo tedesco.
E’ la storia assurda di Max Schulz, ariano doc come precisa nelle prime pagine del libro, figlio di una prostituta e figliastro di un barbiere polacco, apprenderà l’arte del taglio da una famiglia ebrea che abitava li vicino e diventerà intimo amico di Itzig Finkelstein. Grazie all’amicizia con la famiglia piccolo borghese, Max riscatterà il suo presente lumpen e avrà modo di studiare e apprendere dal padre di Itzig, miglior barbiere della cittadina, il mestiere.
“Il mio amico Itzig era biondo e aveva gli occhi azzurri, il naso dritto, i denti bianchi e la bocca ben disegnata. Io invece, Max Schultz, figlio illeggitimo ma ariano puro, avevo i capelli neri, gli occhi da rospo, il naso a becco, le labbra gonfie e bitorzolute e i denti guasti. Potrete ben capire che molto spesso ci confondessero”
Quello che sembra un romanzo di formazione, leggero e divertente precipita nel nero con l’avvento del nazismo. La recessione economica, il crollo della Repubblica di Weimar, sono l’apripista per le infamie delle camicie brune, per l’esaltazione hitleriana che coinvolgerò anche Max e il suo patrigno.
“Ci ubriacammo, barcollammo per le strade, incontrando ovunque drappelli di uomini in uniforme che malmenavano i nemici del popolo, decidemmo di dare una mano e ci unimmo al pestaggio sudando, ruttando, ridendo, masturbandoci, scorreggiando… un gran divertimento, credetemi”
Max aderirà anima e corpo al nazismo, diventando un SS, un terribile aguzzino che sarà uno dei protagonisti delle atrocità di un piccolo campo di concentramento, dimenticando il suo passato, la famiglia Finkelstein, il suo amico Itzig che morirà anch’esso, vittima dei campi di concentramento.
“A Laubwalde c’erano duecentomila ebrei. Li abbiamo fatti fuori tutti. Duecentomila! Eppure era un lager piuttosto piccolo perché, per lo più, i prigionieri venivano uccisi subito, o quasi, appena arrivavano. Era più pratico. Non ci toccava mai sorvegliarne troppi”
Da qui il libro prenderà una piega assurda, la parabola del sorcio Max da SS a finto ebreo. Si farà coprire il tatuaggio nazista e lo sostituirà con i finti numeri di un campo di concentramento, assumendo l’identità ebrea del suo ex amico Itzig. Ma non si fermerà a questo, aderirà anima e corpo all’ebraismo diventando un fanatico. Parteciperà all’esodo verso la Palestina, sosterrà attivamente la causa sionista e si fermò a vivere nel nuovo stato ebraico, dove finalmente Itzig tornerà a fare il barbiere. Tormentato dal passato, alienato dai repentini cambi di identità e personalità, Max rimarrà un fanatico, folle e debole allo stesso tempo, cercando sistematicamente il modo non solo di espiare le sue colpe ma di rimuoverle e di giustificarsi. La vecchia tarantella con cui gli ex fascisti si nascondono dietro “ho solo eseguito gli ordini” che in un paese dalla memoria divisa e revisionata come il nostro abbiamo ben presente.
Hilsenrath però va oltre. Un romanzo provocatorio, tragicomico, assurdo, dove attraverso la descrizione della parabola nazista prima e sionista dopo, descriverà la banalità con cui male prima e fanatismo successivamente si affermano sugli individui. Un romanzo del 1976 che è stato pubblicato qualche anno dopo in Germania, dove i tedeschi stessi probabilmente temevano le provocazioni dell’autore, dove al centro del romanzo c’è il senso di colpa che pervade la vittima, simile a quello dei tedeschi nel post-guerra. Si legge facile, scorre piuttosto bene e lascia delle sensazioni particolari oltre al fatto che la marcos y marcos lo ha pubblicato in versione mini e a prezzo più che accessibile.