Per una volta la mia assenza da questi lidi non è da imputare alla mia pigrizia e al ciondolare che faccio – una volta tornato a casa dalla miniera – fra divano e computer ma a una settimana di quelle che ti fanno perdere 10 anni di vita, convulsa e frenetica.
Il tutto ringraziando in ordine sparso la digos di bergamo, il questore della suddetta ridente cittadina, roberto fiore, la dinastia macconi e altri simpatici amici della foresta, non ultimo giulianone ferrara.
Nel frattempo sono riuscito a portare a termine la lettura di “Un affare di famiglia”, di Pete Dexter, autore americano che si destreggia fra giornalismo, narrativa e cinema: questo libro mi è stato suggerito da uno dei librai più competenti e intransigenti delle Orobie, che lo spingeva come “il miglior libro letto nel 2008”. Detto così uno ci si fionda sicuro, il problema sorge quando realizzo che io e il suddetto libraio abbiamo gusti innegabilmente diversi, dato che critico sempre [sottovoce] la selezione musicale della sua libreria e lui ribadisce il concetto che sono un giovinastro dei centri sociali e quindi non capisco un cazzo.
Comunque aveva ragione: “un affare di famiglia” è uno dei migliori libri letti nell’ultimo periodo, intreccio raffinato e funzionante a cavallo fra il reportage giornalistico, l’affresco della provincia americana degli anni ’60, la relazione fra fratelli e il legal thriller.
Florida, metà degli anni ’60: un redneck viene condannato alla pena di morte per aver ucciso lo sceriffo della contea, a sua volta accusato [ma non condannato: l’impunità della polizia è una costante, ovunque] di ben 16 delitti a sfondo razziale. Una ragazza – innamorata del bifolco [che si dimostrerà un VERO bifolco] per una sorta di passione recondita verso i condannati a morte – si rivolge a una coppia di giovani reporter d’assalto per scagionare il suo amato, che dal canto suo non collabora minimamente.
Autista dei due giornalisti sarà il fratello di uno dei due, vero protagonista del romanzo stesso: la costante della scrittura – a metà strada fra la freschezza e l’ironia di Salinger nella prima parte del libro e che via via assume un tono più drammatico – è legata alla formazione del protagonista, il “paperboy” [ovvero il ragazzo che consegna i giornali] del titolo originale scelto dall’autore, il suo incedere verso l’età adulta, sviscerato in un rapporto forte con un fratello coraggioso e intellettualmente onesto e nel rapporto conflittuale col padre, direttore di un altra testata.
E’ un’America profonda, viscerale, quella dei bifolchi e delle armi da fuoco, delle paludi e dell’endogamia, dove si svolge una vicenda che parte lenta e compassata – come da lavoro di ricerca giornalistica – e poi si scatenerà negli eventi successivi come conseguenza della ricerca di verità da parte dei due fratelli.
Un libro coinvolgente, tridimensionale e maturo, che va oltre la narrativa di genere pescando comunque in essa solo le cose migliori e incastonandole in un contesto narrativo vivido e affascinante.
ps: ACAB
hihihih
non ringrazi che te l ho suggerito io??
comunque ho iniziato ACAB.per il momento non è malaccio
ti suggerisco Jack all inferno….promettendo che non puoi imitarlo…