Forse mi sono fatto un po’ prendere la mano: nell’ultima incursione in libreria prima della mia partenza verso l’Andalusia [dove, a differenza del mio socio, non metterò mano al blog per aggiornamenti, perchè va bene essere nerd ma a tutto c’è un limite…] mi sono preso l’ennesimo pacchetto di libri e nella serie "i luoghi del delitto" della Robin Edizioni mi sono buttato su questo libro.
L’ambientazione è romana e romanesca, la Garbatella. Il protagonista è un senza fissa dimora etiope che, superato l’alcoolismo, aiuta la polizia a risolvere casi: dato che lavoro in un dormitorio per senza dimora e ho a che fare con tanti ragazzi etiopi mi sono buttato, vorace, su questo libro.
Che per la verità si legge anche bene, agile nonostante l’autore indugi parecchio sulle descrizioni del quartiere, sui suoi usi e costumi, sul suo quotidiano e le trasformazioni che ha vissuto.
Le prime incongruenze iniziano dal nome del protagonista stesso: se Tafari è un nome proprio, Ras è un titolo fra il nobiliare e il militare e Diredawa è la seconda città dell’Etiopia. Probabilmente mi sono perso le prime storie con protagonista questo ex professore di italiano etiope, perchè non è più un clochard ma si arrabatta come può fra vari lavoretti, ha smesso di bere e dorme in una canonica, finchè non viene rintracciato da un vecchio amico che lavora alla FAO che gli propone di lavorare per una ricerca sul caffè [l’Etiopia è uno dei primi produttori al mondo di caffè, bunna in amarico].
In tutto questo si consuma proprio alla Garbatella l’omicidio di una bellissima hostess della Ethiopian Airlines e per tradurre il suo diario – scritto in parte in italiano, inglese e amarico e in parte in ge’ez, lingua morta [e qui altra incongruenza per me, utile solo per il coinvolgimento da parte del maresciallo Cafuni di Tafari] da diversi secoli e usata solo nei riti liturgici della chiesa copta e dalla piccola comunità dei falascià, lingua che ha generato l’amarico. Un po’ come se una hostess dell’Alitalia tenesse il suo diario mezzo in latino…
La vicenda investigativa si trascina per la verità un po’ stanca e scontata fra gli uffici della FAO dove guardacaso sta collaborando il protagonista, lasciandomi un po’ l’amaro in bocca per un libro che alla fine si dimostra un piatto, nonostante le buone premesse.
[Invidia. Invidia. Invidia.]