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Grand River

L’ultimo uscito in casa Wu Ming, il collettivo di scrittori bolognesi fra i più attivi nel panorama culturale italiano degli ultimi anni.

Io a Wu Ming [e al Luther Blisset Project prima: se al liceo non avessi intercettato – quasi di contrabbando e senza lo sfarzo dei moderni mezzi tecnologici – alcuni loro scritti probabilmente sarei diventato un “kompagno”, nell’accezione più negativa del termine, palloso, dogmatico e con più ulcera. Invece ho capito che essere l’ala dura e creativa del movimento è molto, molto più divertente nonchè efficace e rivoluzionario] sono particolarmente legato, i loro libri sono diventati parte della koinè della cricca nonchè, nelle occasioni in cui ci siamo incontrati, hanno dimostrato di essere persone disponibili e con le quali condivido alcuni interessi… “Ci incontreremo ancora un giorno”, che se leggono questa frase capiscono loro stessi la citazione dotta.

[piccola nota di costume e di egocentrismo: nel frattempo su Bergamo si sta sfogado probabilmente una delle piaghe d’egitto, sotto forma di temporale fra i peggiori mai visti quest’anno]

Per chi ha seguito un po’ il dibattito intellettuale rispetto alla Nuova Epica Italiana, alla cesura fra autori postmoderni e e gli UNO (Unidentified Narrative Objects) – dove il momento di passaggio è stato Genova2001 per l’Italia e l’11 settembre per il contesto mondiale – sa che questo “Grand River” può essere un’ideale continuazione al percorso di dialogo con la Repubblica dei Lettori e la creazione e condivisione di “miti” da parte dei 5 Senza Nome: è un diario di viaggio in Canada, nei luoghi dove è ambientato l’ultima fatica collettiva, ovvero Manituana. Le terre indiane, le riserve, i segni della Storia su questi territori.

Il tutto raccontato con uno stile a metà fra il report di viaggio e il diario personale, avvincente e che non indugia troppo nè sulle descrizioni nè sulle riflessioni, per raccontare un’America “altra” rispetto agli Stati Uniti, per narrare con gli occhi europei i territori a nord degli USA, patria di un multiculturalismo diverso e complesso. Quella parte di America che diventa osservatorio privilegiato sugli Stati Uniti, un territorio che rimase fedele alla Corona Inglese e dove i “ribelli” americani non riuscirono ad esportare la “loro” rivoluzione.

“Andremo a rimestare con le mani direttamente nella merda, ovvero nei miti fondativi degli Stati Uniti” mi dissero in un incontro prima della scrittura di Manituana, che è ambientato in America a fine del 1700, fra personaggi realmente esistiti e una storia che non è mai stata raccontata dalla “Storia ufficiale”.

Ecco, Grand River è un sequel o uno spin-off, è un’ulteriore punto di vista a questa storia, successivo negli anni e da un’altra angolazione, ma che dà ulteriore slancio a una narrazione che non si ferma alla forma di un romanzo “chiuso” e basta.

Posted in viaggi.

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2 Responses

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  1. |k| says

    senti chi parla… e pensa solo a chi ti accompagni…. 😉

  2. beirut says

    quanto siete brutti.
    :-DDD uhahaha
    baci!
    b.