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Diaz – Processo alla polizia

Non avrei voluto farlo, me l’ero ripromesso: non leggere il libro sulla Diaz nella settimana del decennale del G8 di Genova 2001. E invece, più per casualità che per scelta, l’ho fatto. Mi sono letto Diaz – Processo alla polizia di Alessandro Mantovani, giornalista ex Manifesto.
Conosco Sandro da tempo e dunque non posso che non avere un giudizio parziale. Gli potrei volere anche bene se non avesse un enorme difetto: è laziale.

Il libro, l’ho finito stanotte. Un temporale si è abbattuto su Roma, esattamente come 10 anni fa a Genova. Avevo anche fatto un biglietto per andare su in questi giorni, ma poi per motivi di lavoro sono stato bloccato a Roma. E oggi sono piuttosto nervoso. Genova rimane una ferita aperta e la rimane non per quello che è successo in quei giorni, ma probabilmente più per quello che è successo successivamente:
la memoria rimossa, la stucchevole diatriba buoni vs cattivi, i 10 tra compagne e compagni che rischiano 98 anni e 9 mesi in attesa della sentenza di Cassazione, Carlo Giuliani usato come martire di un movimento che fallì clamorosamente e prese una sonora “sveja”. Con fastidio osservo che la mia città ha deciso di non ricordare quelle giornate neanche nel decennale, ma del resto in piena continuità con quanto fatto precedentemente. Gridavamo la memoria è un ingranaggio collettivo, ma l’unico ingranaggio a funzionare è stato quello della rimozione.

La pagina della Diaz è una delle pagine più infami di quelle giornate:
93 persone arrestate senza motivo, picchiate, umiliate, ferite (61 di cui almeno 2 hanno rischiato di morire). La polizia al completo si vendicò e diede il via ai propri cani ringhiosi (il VII nucleo della celere romana) di portare avanti una delle operazioni di polizia più violente e maldestre messe assieme.
Mancava solo il grande capo De Gennaro, assolutamente informato dei fatti. La Barbera, Andreassi, Mortola, Gratteri, Luperi, Murgolo, Troiani, Calderozzi, Gava, Canterini fino a Nucera, quello che fu “accoltellato” da un manifestante ninja e fantasma. Ben 25 persone condannate in appello e parliamo dei massimi vertici della polizia di stato.
E Mantovani ricostruisce con precisione tutta la vicenda. Piuttosto dettagliato, parecchi stralci (inquietanti) tra intercettazioni e deposizioni in aula, riescono a dare il senso e la misura di quello che accadde alla Diaz e nei “depistaggi” degli anni successivi. Menzogne, ricostruizioni fasulle, verbali falsi, tutta farina della polizia dell’attuale capo, Manganelli. In questo Mantovani è stato piuttosto bravo, ma…
Un ma c’è. Se il libro è assolutamente interessante per chi fosse un minimo a corto di informazioni, per chi ha vissuto e/o seguito le vicende giudiziarie non lo è. Pecca di analisi. Troppo asettico e forse troppo giornalistico, nel senso che si attiene troppo ai fatti. Quando prova a fare un po’ di analisi, non sempre ho condiviso il suo punto di vista. Ma questo ci può stare.
Diciamo che da Mantovani mi sarei aspettato un libro più di panza. Conosce bene la storia di quelle giornate. Conosce perché ha studiato i processi e il clima che si respirava in quelle aule. Ha vissuto Genova sulla propria pelle. Ha incontrato attivisti e attiviste particolarmente sensibili e capaci, con cui ha dialogato e si è informato. Peccato che di questo ci sia poco. Troppo poco.

Una critica, benevola, in una giornata così particolare e così nervosa. Mi isolo per non volere sentire la eco della retorica che si sta abbattendo come uno tsunami. Non amiamo storicizzare. Non amiamo fare i conti con il nostro passato, anche quello più recente. Facciamo fatica e si vede. Dieci anni dopo mi rimane la sensazione che ancora una volta abbiamo persono un’occasione e probabilmente hanno ragione i Wu Ming sul loro blog:
“Negli anni abbiamo ragionato e scritto tanto su quei giorni di Genova, ma oggi, nel decennale del G8, le parole sono in sciopero selvaggio.
La loro ribellione è giusta: le abbiamo sfruttate, forzate, frustate, sfiancate per tirare fuori il senso di Genova e dei nostri errori.
Il loro picchetto a cosa blocca l’accesso? Alla fabbrica delle ovvietà che scriveremmo forzandole ancora una volta?
#carlovive #ioricordo #G8… Quei cancelletti li aprano altri con le giuste parole. Noi abbiamo usato troppa luce ed è scattato il salvavita.”

Dimentichiamo pure. Forse è meglio a questo punto. Però perdonare mai.

PS se vi piacciono i racconti brevi, leggetevi “Storia di un sasso oppure AFAB.

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