Riceviamo e pubblichiamo molto volentieri una recensione di una nostra amica su un libro molto interessante: Le Ragazze di Benin City. Scritto da due donne, Laura Maragnani e Isoke Aikpitany, il libro va a finanziare un progetto di recupero per le ragazze di strada costrette a prostituirsi.
Dicono
che i sopravvissuti ai campi di sterminio abbiano provato quel che
provo io adesso. Non conosco la storia. E’ possibile. Io sono una
salvata tra mille sommerse, Di questo sì, mi rendo conto
benissimo. Ed è per questo che per me è venuta l’ora
di raccontare. Ascolta.
Isoke
Rose Ovbhokan Aikpitanyi di anni 23, trafficata da quando ne aveva
venti. Si riappropria del suo nome di origine e della sua storia e
insieme a Laura Maragnani raccoglie e trasmette le testimonianze de
Le ragazze di Benin city. La tratta
delle nuove schiave dalla Nigeria ai marciapiedi d’Italia
(Melampo Editore).
Dai
50mila alle 70mila le prostitute in Italia. Nove milioni il numero
dei clienti che si rivolgono al sesso a pagamento. Circa 90 milioni
di euro il giro d’affari mensile della prostituzione. L’80% dei
clienti chiede alle prostitute di non usare il preservativo.
E
questo perchè in fondo ogni africana stuprata è
un’italiana salvata.
Allora:
ci sono gli stupratori a pagamento, come li chiamano le ragazze.
Quelli che solo perchè pagano i venticinque euro della tariffa
normale si sentono in diritto di esigere qualunque cosa. Hanno
l’ossessione del culo, gli italiani che vanno a cercare le ragazze
sui marciapiedi.
Fredde
cifre, dietro alle quali ci sono delle persone, donne per il 98% dei
casi. E Isoke con questo libro da’ voce ai racconti di queste
donne. Del lungo viaggio per arrivare in Italia da Benin city
certe volte di due anni. Della difficoltà di stare in una
città e non parlarne la lingua ma soprattutto di non sapere
niente del mestiere che si andrà a fare. Poi la conoscenza con
la mamam (la maggior parte delle volte una ex prostituta che per
riscattarsi compra altre ragazze per farle lavorare) e la scoperta
per la prima volta del marciapiede.
Sono vive perchè
accettano l’inaccettabile.
E’
dura con tutte Isoke. E’ dura con le maman che da trafficate sono
diventate trafficanti.
Con
le sue connazionali che non cercano minimamente di integrarsi, mai.
Non parlano italiano, non mangiano italiano, non interagiscono mai
con la popolazione. Ma soprattutto non riescono a staccarsi dalla
famiglia d’origine, la vera costrizione alla strada. Invece di
pensare a farsi una loro vita, una loro casa, una loro famiglia,
stanno sempre lì a pensare a come fare soldi per poi tornare a
casa piene di soldi. E’ questo il ricatto maggiore. Quello
della famiglia lasciata. La stessa Isoke per poter uscire dal giro
non ha dovuto più telefonare a casa. Ma soprattutto non ha più
mandato soldi.
La
parola prostituzione deriva dal verbo latino prostituĕre (pro,
"davanti", e statuere, "porre"), e indica la
situazione della persona (in genere schiava) che non "si"
prostituisce, ma che come una merce viene "posta (in vendita)
davanti" alla bottega del suo padrone.
Il
20 settembre 1958 in Italia viene introdotto il reato di sfruttamento
della prostituzione, le case di tolleranza vengono definitivamente
chiuse con la cosìdetta legge Merlin di Angelina Merlin del
Partito Socialista. Lo sfruttamento della prostituzione o lenocinio
veniva punito. Da allora numerosi sono stati i tentativi di
modificarla. Nel 2003 un disegno di legge di Umberto Bossi e Stefania
Prestigiacomo vietava la prostituzione nelle strade, ma la ammetteva
nelle case private e al chiuso. E’ inoltre, di pochi giorni fa la
dichiarazione dell’onorevole Franco Grillini che intervenendo in
Commissione Giustizia ha detto: "Emerge l’impressione di un
impianto legislativo di carattere vendicativo e punitivo nei
confronti dei clienti". Giusto, preoccupiamoci dei clienti. I
clienti sono il racket. E’ per loro che tutto questo mondo si
muove, che le donne vengono spostate da continenti attraversando
oceani per ritrovarsi a pagare addirittura il joint, il
pezzo di marciapiede che le incatenerà per sempre.
Clienti
che solo perchè pagano pensano di poter fare quello che
vogliono. Le ragazze morte sono tantissime e nessuna può
denunciare. Per cui muoiono e nessuno sa neanche come si chiamano.
Le
ragazze sulle nostre strade sono tante, tantissime. Il giro d’affari
incalcolabile. La tratta è un business internazionale che vede
coinvolte bianchi e neri in perfetto accordo. Poliziotti venduti,
avvocati delle mamam, mediatori, affittuari, un sacco di brava gente
che fa fortuna con il traffico delle ragazze di Benin City. Per
questo le tengono là. Per questo non indignano nessuno,
neanche i più alti vertice di Città del Vaticano. Le
vediamo quando andiamo al lavoro la mattina cosi come quando torniamo
a casa la sera.
Sette
giorni la settimana. Per cinquantadue settimane. Per dodici mesi. Per
tre o quattro anni. Non conoscono ferie le ragazze di Benin City, nè
Natale, nè Pasqua, nè febbre, nè malattia. Sono
sempre lì in cerca di clienti, tutte le sere di tutti i giorni
che il Signore manda su questa terra. Col caldo e col gelo. Con la
pioggia e con la neve. Sempre lì, le vedi, coi loro tacchi
ridicoli e la carne fuori. Cinque clienti è la sera che
dicono: non c’è lavoro. Otto va bene.
Neanche
possono denunciare, per paura di essere rimandate a casa. Ma
adesso c’è la casa di Isoke che la vendita di questo libro
contribuisce a finanziare. Un posto che dice alle ragazze che c’è
speranza.
Anche
se sei difficile e non vuoi fare la denuncia, anche se vivi ai
margini e di integrarti non te ne frega niente, anche se non capisci
perchè, se non ti fidi di nessuno. C’è qualcuno che
ti capisce e ti accompagna. Vieni. Ci sono io.