Avevo chiuso l’ultima recensione parlando del fatto che non bisogna avere aspettative quando si comincia un romanzo (ma anche nella vita eh) e La Tigre Bianca di Aravind Adiga, autore indiano vincitore del Booker Prize nel 2008 e al suo primo libro, me l’ha prepotentemente confermato.
Bello, davvero bello. Dopo una quindicina di pagine ho pensato “No, cazzo no! Perchè ho portato sto libro?!”. Ero in ansia visto che mi mancavano due giorni di mare e non avevo altro da leggere. E invece no. Perché La Tigre Bianca colpisce allo stomaco e al cuore. E’ la storia di Balram Halwai, della casta dei pasticcieri, nato povero in un villaggio dell’interno dell’India, che si racconta attraverso sette lettere, scritte da lui stesso, e inviate al premier cinese che dovrebbe visitare il suo paese pochi giorni dopo. E’ la storia di un uomo, ma è la storia dell’India posti anni 90, quella della New Economy, della nazione che sta diventanto, al fianco della Cina, una delle maggiori potenze economiche mondiali, il centro delle nuove tecnologie, di Bangalore, del lusso sfrenato e della povertà assoluta di gran parte della popolazione. Non è il paese di Bollywood, non è una brochure turistica, ma è un racconto che entra nel cuore di un paese, che parla di corruzione, di politica, di economia e sbugiarda qualsiasi religiosità. Non c’é Gandhi, non ci sono bagni nel Gange, non si ci sono vacche sacre. C’é un esercito di disperati, di servi, di un immensa stia per polli, stupenda metafora usata dall’autore per spiegare la società stessa.
“Il destino della mia vita era segnato. Sarei andato in galera per un omicidio che non avevo commesso. Ero terrorizzato, eppure nemmeno per un istante mi balenò l’idea di dire al giudice la verità. Ero intrappolato nella Stia per Polli.”
Balram Halwai, è uno di quelli che c’é la fatta a scappare dal
pollaio. Uno dei pochi ad uscire dalle tenebre. Per poterlo fare ha
dovuto uccidere il suo padrone, corrompersi nell’animo più profondo e
ora si definisce “un uomo pensante e imprenditore”.
“La realtà dei ricchi che corrono per dimagrire e dei poveri che sognano
un pugno di riso e muoiono di consunzione.”
Nato nel 1974, da una famiglia benestante, studi negli USA, giornalista
finanziario per Financial TImes e Time, Aravind Adiga debutta con questo
splendido affresco della “Shining India“, e spiega in una intervista:
“Vivo a Mumbai, anche se passo molto tempo nel sud, a Bangalore. Sapevo
che un giorno sarei tornato qui, si trattava solo di stabilire quando.
Ho sempre voluto fare lo scrittore e ho sempre avuto chiaro che avrei
potuto farlo soltanto in India. È difficile scrivere riguardo a un luogo
se non ci abiti. E io so che voglio scrivere dell’ India”.
Non credo che ci tenga troppo a credere nel Karma, e chissà qual è il
suo, ma più di qualsiasi reportage, ecco a voi l’India e ciò che produce
il capitalismo in salsa asiatica o più semplicemente il capitalismo
moderno, raccontato attraverso un linguaggio e una scrittura graffiante,
diretta, carica di un umorismo nero come la pece.
“Signore quando lei arriverò qui, le diranno che noi indiani abbiamo
inventato tutto, da internet alle uova sode alle navi spaziali, prima
che gli inglesi ci rubassero l’idea. Sciocchezze, il massimo che questo
paese abbia prodotto in diecimila anni di storia è la Stia per Polli.
Vada nella vecchia Delhi, dietro la Jama Masjid, e guardi come tengono i
polli al mercato. […] I galli nella stia sentono l’odore del sangue.
Vedono le interiora dei loro fratelli sparse intorno. Sanno di essere i
prossimi. Eppure non si ribellano. Non cercano di uscire dalla stia.”
PS un paio di curiosità volanti: gli autori di Revolutionary Road hanno
comprato i diritti di questo libro per farne un film; all’ultimo salone
del libro torinese i grandi protagonisti sono stati proprio gli autori
indiani, e speriamo che non sia solo il frutto della classica moda
passeggera.
sono d’accordo libro stupendo e per il film mi sa che dobbiamo ancora aspettare molto o forse non lo vedremo mai