Conoscete Chester Himes? Bè lui è la Blaxploitation 10/15 anni prima di Shaft e il Rabbia ad Harlem è il primo di una serie di romanzi che hanno rivoluzionato il genere poliziesco dandogli quel tocco black che mancava.
Mi ritrovo a parlare di questo libro in una “ocupa” di Barcelona (grazie Flaviè!) dopo essermi spolpato in due notti questo romanzo, carico di adrenalina e humor black. Himes è stato il predecessore dei romanzieri neri che hanno cominciato a scrivere dietro le mura di un carcere. Nato nel 1909 , a 19 anni si è ritrovato con 20 anni di carcere a causa di una rapina a mano armata. Uscito, dopo una parentesi di alcuni anni negli States si trasferisce in Europa dove finalmente qualcuno riesce a dargli gli stimoli giusti per dare forma a cià che scriveva.
Rabbia ad Harlem è il primo di una serie di romanzi con protagonisti due poco ortodossi poliziotti neri (Ed Bara e Jones Beccamorto) che lavorano nel ghetto nero di NYC. La storia è piuttosto semplice: Jackson, ingenuo autista di carro funebri, innamoratissimo della mezzosangue Imabelle, si ritrova a essere la vittima di un “soffione” (a Roma si direbbe “sòla”) e per porre rimedio innesca una serie di avvenimenti che lasceranno una scia di sangue per tutta Harlem. Insieme a lui si muovono altri alquanto improbabili personaggi, tra cui Goldy, fratello tossico di Jackson che si traveste da suora di carità per truffare i credenti e creduloni neri del quartiere.
Himes ne ha per tutti. Per i bianchi razzisti e per i neri troppo idioti, che si scannano tra loro e ripongono ciecamente fiducia in Dio e la Chiesa. Un linguaggio tagliente il suo, a tratti violento e crudo, iper-realista e tragicomico. Ad Harlem, tutti corrono, tutti scappano, tutti hanno una pistola o un coltello, tutti sono vittime e carnefici della stessa comunità di appartenenza.
“La Harlem dei miei libri non è mai stata reale; non l’ho mai considerata reale; volevo soltanto torglierla all’uomo bianco, se non altro nei libri”.
Se non altro, Chester Himes ci riesce alla grande.