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L’Uomo Verticale

Solo mantenendosi verticale, non soccombendo, l’uomo è in grado di discernere con la testa e con il cuore, così trovando salvezza.

Subisco il fascino dei romanzi Sci-Fi, e ho subito anche quello de L’Uomo Verticale di Davide Longo, apocalittica storia di un uomo che cerca di sopravvivere insieme a sua figlia e un altro ragazzino al disfacimento e alla barbarie di una società impazzita, chiusa e implosa in se stessa. Tutto crolla. Tutto brucia. Come bestie feroci, chi rimane, si muove in questo spicchio d’Italia del nord-est, braccato e affamato, in una eterna guerra tra interni ed esterni. Non si capisce quando e come inizia, non se ne accorgono neanche i protagonisti, che prima di decidere di abbandonare tutto e provare a passare le frontiere, chiuse e sorvegliate da una fantomatica guardia nazionale di non si sa quale ormai nazione, tergiversano e confidano nel “tutto si sistemerà”. Dura metafora di quello che siamo e che potrebbe aspettarci, una guerra intestina tra interni ed esterni, che spazza via la provincia italiana, una volta opulenta, prendendo linfa dalla paura per il diverso, lo straniero.

Leonardo, ex scrittore e professore universitario caduto anni prima in disgrazia e auto-esiliatosi nel suo vecchio paese, si trascina in un viaggio verso la frontiera svizzera con la ritrovata figlia Lucia, il figlio dell’ex moglie e successivamente insieme ad un elefante, mansueto e umano più di ogni altra persona incontrata. Un viaggio allucinante in un paesaggio ormai controllato da bande affamate e violente, simil zombie tribali che si cibano e fanno razzia di tutto e di tutti, in quella che è una vera e propria totale regressione. Cosa sareste disposti a fare in un mondo del genere? E’ quello che si chiede il protagonista pagina dopo pagina, in un lento abbandonare tutto, soprattutto se stesso e quello che è sempre stato, cercando di vincere la propria pavidità e la propria mitezza, in cerca di una sopravvivenza sempre più lontana e irragiungibile.

Con me lo schema, forse non troppo originale e che ricorda molto La Strada di McCarthy (che a sua volta pero’ ricordava altri romanzi) funziona, tanto che ho divorato pagina dopo pagina, accompagnando i protagonisti in questo splendido affresco della barbarie e della disumanizzazione di una società, la nostra, che fa della paura una delle leve peggiori. E’ un romanzo diviso in 5 parti, che parte lento, carbura, scatta improvvisamente, corre accompagnando i protagonisti verso il proprio destino, per poi rallentare bruscamente verso il finale. La scrittura e i tempi filano decisamente, le metafore usate da Longo, i riferimenti letterari, la descrizione della natura e dei paesaggi che presumo l’autore conosca bene, non sono mai a caso o riempitivi. Regalano armonia all’angoscia che vive Leonardo e a chi gli sta attorno, un lenitivo per chi è costretto a subire le peggiori violenze. E non è neanche facile parlare di un romanzo così intenso, senza lasciare traccia o svelare qualcosa ai futuri lettori, mi limito solo a dire che trovo la copertina splendida.

“Questo mondo è più feroce e degenerato di quello a cui ero fuggito. Come si è arrivati a questo? Il male è germogliato in seno o siamo stati vittime di un contagio?”.
Longo non da le risposte alle inquiete domande di Leonardo. Ho quasi la sensazione che preferisca dare l’allarme, usare una metafora di 400 pagine per spingere il lettore a interrogarsi sulle proprie paure, alimentate ad arte nella società contemporanea, terreno principale di campagne elettorali, a nord come a sud, per allertare il lettore, metterlo in guardia, spingerlo a riflettere. “Capire fa parte del vecchio mondo” si sente rispondere Leonardo. Forse siamo ancora in tempo, sforzarci di capire diventa necessario e vitale.

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