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L’incolore Tazaki Tsukuru e il suo anno di pellegrinaggio

 La sorpresa di questa primavera è l’ultimo romanzo Haruki Murakami che non sapevo fosse in uscita. Del resto non avevo letto nulla che lo annunciasse se non pochi giorni prima dal trovarlo sugli scaffali della libreria. Sono passati solo pochi mesi da quando ho letto il terzo libro di 1Q84 ed eccomi a maneggiare “L’incolore Tazaki Tsukuru e il suo anno di pellegrinaggio” e già dal titolo sembra un tuffo nel passato.

La copertina è molto bella ed è il preludio al tema del romanzo: i colori. Ognuno di noi ha un colore. E chi non ha un coloro tutto suo, come Tazaki Tsukuru, è semplicemente un contenitore vuoto. O almeno così pensa il nostro protagonista, ingegnere e costruttore di stazioni, che scivola verso i quarant’anni con noncuranza e senza particolari squilibri. Apparentemente almeno.

“Se Tsukuru non tentò mai realmente di suicidarsi, fu forse perché la sua idea della morte era così pura e intensa, che nella mente non riusciva ad associarla a un’immagine concreta. Il problema della realizzazione pratica restava in secondo piano. Se si fosse imbattuto in una porta che conduceva alla morte, probabilmente l’avrebbe aperta senza esitazioni. Per lui sarebbe stato un prolungamento dei gesti quotidiani, che non avrebbe richiesto alcuna profonda riflessione. Tuttavia, fortunatamente o no, intorno a sé quella porta non la vide mai.”

Sedici anni prima il suo gruppo di amici decide improvvisamente di escluderlo. Era un gruppo affiatatissimo, composto da 2 donne e 3 uomini, con cui aveva condiviso in maniera simbiotica una parte importante della propria adolescenza. Ora Tsukuru spinto da Sara, una donna di cui forse si è appena innamorato, si trova costretto ad affrontare il proprio passato per poter riuscire a vivere.

“Il ragazzo che una volta si chiamava Tazaki Tsukuru era morto […] Quello che adesso era lì e respirava, era un nuovo Tazaki Tsukuru, un Tazaki Tsukuru il cui nucleo era stato, in gran parte almeno, sostituito. Ma era una verità che conosceva soltanto lui. Né aveva intenzione di condividerla con nessuno”.

Murakami, come dicevo prima, fa un passo indietro da 1Q84 e non è un discorso qualitativo il mio. Il passo indietro è un ritorno verso un romanzo più breve, con pochissimi personaggi che si muovono sullo sfondo, con un protagonista maschile alle prese con le proprie contraddizioni, con i sentimenti a cui non riesce a dar forma, con un diventare “adulti” che smarrisce e trasforma oltre agli amori che passano mentre lui assiste indifferente. Ti fa pensare immediatamente al protagonista di Norwegian Wood, forse perché lo stile della scrittura è lo stesso, senza quella ridondanza trovata in 1Q84. Un Murakami che asciuga tutto lasciando spazio soltanto a tanto romanticismo e un po’ di poesia. E mentre la storia, il segreto che ha portato alla separazione anzi all’esclusione del giovane Tsukuru dal suo “mondo” si sviluppa, ci ritroviamo ad affrontare tutta una serie di passaggi sulla cultura giapponese, il modo di viversi i rapporti, sull’individualismo in cui ti spinge la società stessa, con le sovrastrutture presenti riguardo il sesso e non, che trovo sistematicamente tra le cose più affascinanti dei romanzi degli autori giapponesi.

“Si trovava in una solitudine diversa da quella che provava sempre in Giappone. E non gli dispiaceva. In quel contesto la sua solitudine era scontata. Cioè il fatto che lui, straniero, lì fosse solo, era perfettamente logico. Non c’era nulla di strano. Quell’improvvisa consapevolezza lo fece sentire in pace con se stesso. Si sentiva per una volta nel posto giusto.”

Ovviamente non starò qui a dirvi come si conclude questo anno di pellegrinaggio. Però vale la pena accompagnare Tsukuru in questo viaggio. I ragionamenti, le sfide, le paure che dovrò affrontare sono quelle comuni a molti di noi, soprattutto di sesso maschile. Stanno lì nelle vite di tutti i giorni, in quelli presenti e passati. Mi verrebbe quasi da concludere con un bentornato Murakami ma sarei banalissimo. Forse non è un autore da nobel. Forse non è il miglior romanziere in circolazione, ma alcune storie, alcuni temi, sono i suoi. Su quelli riesce a dare il meglio e a tirare fuori il meglio e se in 1Q84 aveva voluto sfidare se stesso e regalarci “il suo libro migliore” probabile che tornare su un qualcosa di più breve, di meno articolato e complesso, gli abbia fatto un gran bene.

“A unire il cuore delle persone non è soltanto la sintonia dei sentimenti. I cuori delle persone vengono uniti ancora più intimamente dalle ferite. Sofferenza con sofferenza. Fragilità con fragilità. Non c’è pace esente da grida di dolore, non c’è perdono senza sangue sparso nel terreno, non c’è accettazione che non nasca da una perdita.”

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