Tendenzialmente detesto leggere saggi storici nei giorni precedenti qualche ricorrenza importante. Lo detesto anche se non penso faccia male. Forse lo detesto perché sono un po’ snob riguardo queste cose. Ma poi succede che ti regalano un libro sulla Volante Rossa e una sera ti decidi di iniziare “La guerra non era finita” di Francesco Trento.
Se Renato Zero cantava “Il triangolo no non lo avevo considerato” sicuramente non faceva riferimento a Giampaolo Pansa, giornalista ormai diventato storico (non per meriti ma solo perché stiamo in Italia), simbolo del revisionismo anti-comunista, che negli ultimi 15 anni avrà scritto almeno un libro l’anno in cui ci ha raccontato dei “crimini partigiani nel triangolo rosso emiliano”. Invece il “triangolo lombardo” è stato raccontato attraverso la storia della Volante Rossa, presentata dalla feccia revisionista come una banda armata di pazzi assassini criminali che si divertivano a uccidere poveri e innocenti fascisti ormai riassorbiti dalla democrazia italiana dell’intesa Togliatti-De Gasperi.
Ironia a parte la storia della Volante Rossa è una storia importante. Attraverso la storia di questo gruppo di ex partigiani, Francesco Trento in questo saggio, fotografa il contesto politico e sociale dei primissimi anni del dopoguerra(1945-1949) tra le lotte operaie, gli scioperi, le amnistie che liberavano i fascisti, passando per le campagne di criminalizzazione degli ex partigiani, troppo spesso costretti ad assurdi processi in cui spesso venivano giudicati da giudici ex fascisti, rimasti tranquillamente al loro posto.
«Come molti a quel tempo, i militanti della Volante Rossa guardano alla Resistenza come a un cammino rivoluzionario interrotto. Temono che le conquiste raggiunte siano in pericolo, che si corra il rischio di essere schiacciati dalla reazione appoggiata dagli Alleati, come in Grecia. Si armano per questo: per difendersi. Ma anche per contrattaccare, per continuare il cammino rivoluzionario, non appena ve ne saranno le condizioni»…
Il comandante Alvaro (Giulio Paggio) e la sua cinquantina di uomini, non regolarono semplicemente i conti con i fascisti rimasti in giro e riorganizzatisi in formazioni clandestine, ma rappresentarono quella Milano operaia che non aveva spento la sua natura rivoluzionaria con il referendum monarchia/repubblica. Tutt’altro. Del resto la base del PCI stesso mal digerì le scelte del partito di fronte agli attacchi di De Gasperi o di Scelba, autentico protagonista della repressione operaia e comunista per almeno un ventennio. Era l’Italia uscita dal fascismo ma appena appena. Di facciata. Perché del resto epurare una cultura che aveva coinvolto la maggioranza della popolazione non era affatto compito facile soprattutto quando la DC dell’epoca ci si appoggiò per far fronte al “pericolo comunista”.
La storia spesso e volentieri è semplice, va soltanto raccontata con onestà. Francesco Trento prova a ristabilire un po’ delle verità spesso nascoste, coperte, strumentalizzate. Magari lo fa con un’enfasi e una partecipazione non propriamente da ricerca storica ma del resto Trento storico non è e manco ci si atteggia. E alla fine ne esce fuori un libro piuttosto onesto, scritto discretamente, che riesce a mantenere una sua omogeneità. E se ho affermato che la storia è semplice, questo non vuol dire che scrivere saggi storici lo sia altrettanto. Serve solo un po’ di passione e di amore per i fatti narrati e Trento dimostra di averne.
«Di fronte a una magistratura che rilascia i criminali fascisti si fa strada, nei membri della Volante, la convinzione di essere chiamati a fare giustizia. E man mano che i fascisti rientrano dai campi di concentramento alleati, o escono dai loro nascondigli, gli uomini di Paggio iniziano a intervenire».