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L’assassino che è in me

 Sarà l’estate in cui mi dedicherò a Jim Thompson, l’ho promesso. Tanto che non potevo non cominciare la vacanza con uno dei suoi romanzi più importanti: l’assassino che è in me.

L’ora più chiara è sempre prima del buio

Prima di cominciare una lettura di un romanzo come questo bisogna collocarlo nell’anno di pubblicazione: 1952. Jim Thompson scrive e pubblica un romanzo piuttosto particolare per un genere, quello noir, che stava cominciando a prendere forma. ll serial-killer, ormai protagonista di decine e decine tra romanzi, serie tv o cinema, era una figura sconosciuta. Lou Ford, vicesceriffo di una cittadina del Texas, lo è. Uccide perché ha la “malattia” e ha cominciato a farlo piuttosto presto, tanto che ormai sembra tenere sotto controllo questo impulso. Sembra…

Perché dovevano venire tutti a farsi ammazzare da me? Perché non potevano ammazzarsi da soli?

La storia è semplice. La narrazione è un viaggio nella psiche di un assassino che uccide per il gusto di uccidere. Lou Ford è la voce narrante che accompagnerà il lettore nel suo delirio, nel lato più oscuro di un uomo che tutti ritengono essere un buono e magari un po’ tonto. Talmente buono che quando comincerà la catena di delitti, nonostante lui sia sempre nei paraggi, nessuno sospetterà di questo 30enne tutore della legge. Nessuno vuol vedere, nessuno arriva a credere che ci possa essere lui dietro tutto questo. Thompson ci racconta passo passo la lenta ricaduta nella malattia di Lou e lo fa con il solito stile asciutto, mai una parola o una virgola fuori posto. Un viaggio nella psiche di un assassino, senza moralismi o ammiccamenti, senza cercare di far piacere il suo “eroe” al lettore. Ci mostra che il male nella sua essenza. I ragionamenti di un uomo folle che cerca sistematicamente di giustificare ogni sua azione, che finirà per uccidere alcune persone vicinissime a lui. Di un uomo che nasconde un terribile segreto risalente all’infanzia. In Lou Ford riconoscerete l’archetipo del serial-killer moderno, saccheggiato al cinema contemporaneo, tanto da avere decine di cloni di Hannibal Lecter, con una enorme differenza: in Lou Ford non ci sono 2 personalità che si scontrano. Non c’è spazio per il lato buono. Lou Ford non media, non gioca una partita tutta sua tra bene e male. In Lou Ford non c’è spazio per l’american dream degli anni ’50.

Se poi mettete che Stanley Kubrick (oh mica pizza e fichi) definì questo romanzo “the most chilling and believable first-person story of a criminally warped mind I have ever encountered” tanto da volere l’autore come sceneggiatore nei suoi primissimi film, allora forse ci rendiamo davvero conto della portata e dell’importanza di un romanzo del genere. Certo ormai abituati a un tipo di scrittura fatto di ritmi serrati, frasi a effetto, colpi di scena in successione, chissà quanto la scrittura cruda ed essenziale di Thompson possa piacere, ma confido nell’intelligenza di chi legge un romanzo che ormai ha 60 anni e che sembra scritto ieri.

La città che mi si stringeva attorno: gli smargiassi, gli ipocriti, i finti virtuosi… tutti i fetenti che giorno sì giorno no dovevo affrontare. Con loro dovevo sorridere e fare le smorfie ed essere gentile; e potrà anche esserci ovunque gente come quella, ma quando non te ne puoi allontanare, quando continua a fartisi sotto, e tu non puoi sfuggire, mai, mai, mai…

Una cosa è certa, se non fosse esistito Jim Thompson, non avremmo neanche mai avuto autori come Joe Lansdale.

Posted in noir - gialli.

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