Skip to content


Open

 Finalmente ho avuto il tempo di leggermi Open di Andrè Agassi. Dico finalmente perché dopo essermi sentito dire da varie persone amiche “ah, ancora non hai letto Open?” era diventato abbastanza stucchevole.
Che dire di un libro che ha venduto oltre 130’000 copie ed è stato recensito praticamente da tutti? Mica posso mettermi a sfidare un Baricco?! Dovrei quantomeno rimediare uno specchio da mettermi davanti ogni qual volta scrivo…

Cominciamo col dire una cosa: il libro è stato scritto a 4 mani o se volete voi è stato scritto da J.R. Moheringer insieme ad Andrè Agassi. E cominciamo anche col dire che questo libro è scritto benissimo. Parlo proprio di scrittura, di come scorre, di come riesce a creare quel pathos che ti porta a leggere pagina dopo pagina, facendoti sentire davvero come un tennista che affronta un incontro sulla superficie che più preferisce.

Agassi si racconta. Lo fa con estrema onestà e vuota il sacco. Racconta il suo odio per il tennis. Le sue ossessioni, le sue paure ma soprattutto le sue debolezze. Orgoglio e consapevolezza, confusione e inedia, tonfi e trionfi, di una carriera lunghissima che lo ha portato a diventare uno dei migliori tennisti di sempre. Non il migliore, certo, ma un atleta che ha lasciato il segno e che ha giocato per ben 21 anni. E questo racconta inizia proprio dalla notte del suo ultimo incontro, quando Agassi arriverà alla fine del tutto.

“Non volevo giocare a tennis e quello sparapalline contro cui dovevo combattere, 2.500 al giorno, ha rovinato la mia infanzia. Io sono cresciuto con le ossessioni e con le frustrazioni, forse Federer sarà diverso. Ma fino a quando si sta nel fuoco non si sentono a fondo le scottature. Hai bisogno di allontanarti dall’azione per riuscire a sentire il suo respiro. Forse tra qualche anno anche Federer e quelli che sembrano vincere con calma ed equilibrio scriveranno i loro libri e verrà fuori tutta un’altra storia. È che io sono diventato famoso in fretta, ma ci ho messo molto a crescere”

Agassi odia il tennis. Agassi è ossessionato dal tennis. Questo è l’elemento su cui ruota tutta la sua vita. Una vita fatta di sacrifici, di abbandono scolastico, di una mostruosa scuola fabbrica campioni, dal diventare agonista già dall’età di 16 anni, da una vita fatta di successi più che di eccessi, la vita di un uomo fragile capace di rialzarsi dopo ogni tonfo. E lo accompagniamo in queste quasi 500 pagine, grazie ad un ritmo sostenuto che forse perde un po’ di smalto soltanto nel finale, come se si perdesse il filo o come se, vedendo il filo arrivare alla fine, si scegliesse di rallentare.
McEnroe riguardo il suo libro dice che “Agassi ha scritto un libro per non pagare lo psicanalista”. Battuta simpatica ma che probabilmente dà il senso a questa autobiografia. Agassi ha deciso di riprendersi il centro della scena, del campo, raccontando se stessa o la propria vita, un po’ come quando nel suo tennis, alternava bordata da fondo campo a discese a rete con volée annessa.

Però rimane una sensazione, enorme, leggendo la vita di Agassi: ok ma dov’è il resto?
Ci sono i tormenti del tennista, sport duro anzi durissimo, giocato sistematicamente in solitudine. Ci sono vittorie, sconfitte, amori, gli amici e… e il resto? Non mi interessa il gossip, non voglio sapere quante donne o uomini abbiano fatto sesso con Andrè. Quante volte si è drogato con amici o conoscenti, no non sono morboso ma c’è qualcosa che manca. Sì perché abbiamo un Agassi monogamo, un Agassi che ha avuto delle splendide storie d’amore ma finite un po’ alla Berlusconi, con le sue ex che rimangono in qualche modo amiche e/o comprensive sostenitrici dell’uomo Agassi. Un Agassi che sta sempre a casa la sera davanti alla televisione neanche fosse il sottoscritto. Perché in fondo l’unico mostro che affronta per tutte le 500 pagine è il padre. Il padre che lo obbliga a giocare a tennis, il padre che odia quanto lui il tennis, il padre che non lo ama e non lo gratifica. E il resto?

Non so, questa è la sensazione che mi ha accompagnato nella seconda parte. Un po’ come se comunque, nonostante il suo aprirsi, nonostante il suo raccontarsi senza filtri, fosse sempre e comunque l’Agassi che nascondeva la calvizie con una bandana in testa o un parrucchino.

 

Ps è stato quasi automatico questa notte cominciare “il bar delle grandi speranze” di JR Moheringer

Posted in narrativa.

Tagged with , .