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Colpi di coda

Bruno Morchio mi piace.
O meglio, prima di tutto mi sta simpatico: è genovese, genoano (diretta conseguenza del primo aggettivo dato che Genova ha una sola squadra di calcio… gli “altri” sono solo dei ciclisti…) e comunista, caratteristiche che mi hanno fatto leggere tutti i libri precedenti a questo.
Così è anche il suo protagonista, non fosse altro che per la diversa professione: se Morchio per campare fa lo psicologo, il suo alter ego libresco Bacci Pagano si procaccia cibo facendo l’investigatore privato.
“Colpi di coda” è l’ultima fatica letteraria di Morchio che chiaramente – mi verrebbe da dire naturalmente – porta il centro dell’azione fra i caruggi genovesi: in un appartamento nei dintorni dell’Acquario quattro giovani nordafricani vengono massacrati a colpi di kalashnikov da quello che sembra un commando ben organizzato.
Riesce a scappare alla mattanza il ragazzo che gli ospitava: la famiglia (e un’ambigua organizzazione caritatevole islamica, la Lega dei Fratelli Musulmani) ingaggia proprio Bacci Pagano per ritrovare il fuggiasco.
Così il nostro si troverà alle prese con una storia più grande di lui e che coinvolgerà servizi segreti, trafficanti di armi e ambasciate, senza dimenticare i rapporti complessi fra Bacci e la figlia Aglaja.
Morchio si cimenta in questa nuova avventura del “Marlowe dei caruggi” con la spy story classica che porterà Bacci a Lisbona (dove legherà molto con un giornalista free-lance irlandese) e a Berlino, abbandonando per un attimo il noir mediterraneo del quale è  a tutti gli effetti uno dei maggiori esponenti italiani: il tentativo è in parte riuscito, risultando però a volte un po’ scontato e prevedibile.
Intendiamoci, la scrittura è asciutta e precisa, i protagonisti sono bene delineati ma sinceramente ho preferito i libri precedenti forse per la mia refrattarietà al fanta-thriller alla Le Carrè.
Il libro trasuda ad ogni frase di passione politica, di rimandi ad un’attualità italiana fatta di lager per migranti, islamofobia e razzismo, senza dimenticare la ferita ancora aperta del G8 2001: non potrebbe essere altrimenti, dato che Genova ancora soffre per quanto è successo quasi dieci anni fa e che è parte integrante della narrazione della città.
Il fulcro della scrittura di Morchio è appunto fra le stradine attorno al porto, nello spirito stesso dell’aria di mare e nelle colline attorno alla città, che Bacci percorre infaticabilmente con la sua Vespa.
E’ una Genova “bassa”, fatta di senza dimora e portuali, di migranti e pensionati, la Genova dei miei ricordi d’infanzia, quella delle strisce di focaccia e della musicalità del suo accento.
Il personaggio di Bacci Pagano poi non può non riuscire simpatico: appartiene alla generazione dell’Alligatore di Carlotto (con il quale condivide il passato di carcere negli anni ’70), con tutte le sconfitte personali e collettive indossate a testa alta, con la capacità di incazzarsi ancora e di avere dei punti fermi per la propria morale.
In questo libro poi Bacci Pagano lascia da parte l’introspezione e l’indagine più psicologica degli ultimi lavori del suo creatore per ritornare a essere più nervoso, più agile, meno malinconico: conseguenza diretta della scelta di Morchio di sparigliare le carte in tavola mettendo in scena una storia di spie che mantiene i personaggi dei lavori precedenti (punto di forza del libro) ma cambia sia tiro che tono per questa fida che, nella trama, riesce a vincere solo a metà, facendoci rimanere però il profumo del basilico e del “marino” e la voglia di un pezzo di fügassa calda.
Belìn.

Posted in noir - gialli.

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