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Il Sentiero della Speranza

Dopo che il mio (ex?!) socio me ne aveva parlato, ho preso un paio di libri di Dominique Manotti, giallista francese, insegnante di Storia Economica del XIX secolo all’Università di Parigi e sindacalista, cominciando proprio dal suo primo romanzo pubblicato ormai una quindicina di anni fa: Il Sentiero della Speranza, rimanendo però un po’ deluso.

Le premesse ci sono tutte: un noir che parte da un omicidio nel mondo della prostituzione minorile per attraversare politici e poliziotti corrotti, trafficanti di eroina, i fascistoidi turchi dei Lupi Grigi, sullo sfondo una storia vera, quella delle lotte dei lavoratori clandestini per la regolarizzazione nella Francia del 1980.

“L’idea di partenza è stata quella di rendere omaggio a una lotta sociale forte, originale e totalmente nascosta perché è stata l’ unica forma di protesta di immigrati clandestini che è partita dalla loro condizione di lavoratori e non dal semplice fatto che erano presenti sul territorio. Per questo motivo i turchi di cui parlo nel romanzo vengono sempre presentati nella loro veste di lavoratori. Oggi i clandestini sono considerati come persone presenti illecitamente sul territorio, pur essendo spesso tutte persone che lavorano. Questa è stata l’ idea di partenza ma un romanzo non è un volantino, non è un discorso politico e da questo inizio la storia ha seguito un suo svolgimento.”

Eppure nonostante tutto, il romanzo non funziona fino in fondo. Ritmo serrato sì ma che genera confusione. Tanta carne al fuoco ma che può disorientare. Alcuni personaggi caratterizzati bene ma che non reggono del tutto. Daquin, l’ispettore e protagonista, è un colto poliziotto bisex, che ha un rapporto con Soleiman, turco e leader dei lavoratori immigrati nonché informatore della polizia, piace ma non è troppo credibile. Gli altri rimangono così, sospesi.

“Non è insolito trovare poliziotti gay, la cosa insolita è il fatto che rivendica questa sua condizione anche all’ interno della polizia e che ne fa uno strumento di libertà personale. La cosa che mi piace nel rapporto fra Daquin e Soleiman è che la loro relazione inizia nella violenza e nel ricatto, che Daquin si innamora di Soleiman e lo ama profondamente ma che fin dall’ inizio sa che la storia finirà male. E gestisce il rapporto al contempo con violenza e rispetto fino alla separazione.”

Certo è un primo romanzo e va trattato come tale. La Manotti almeno ci risparmia serial killer e luoghi comuni, racconta una pagina di storia francese ridando dignità ai lavoratori immigrati, dona una taglio molto americano al libro (capitoli brevi, data e ora a ogni inizio capitolo), cerca uno stile tutto suo facendosi contaminare il più possibile, ci racconta una Parigi che probabilmente non c’è più. L’ultima curiosità rimane il titolo che in francese è Sombre Sentier, il sentiero oscuro, un gioco di parole e di suoni intraducibile, visto che il romanzo è ambientanto in quartiere parigino, il Sentier appunto, territorio di lavoro nero e laboratori, che in trentanni si è trasformato senza mai cambiare la sua sostanziale natura. “Gli operai turchi sono stati regolarizzati e sostituiti da altri clandestini. Attualmente il grosso del lavoro clandestino nel settore della confezione è fatto da cinesi.” Entro breve darò un’altra chance alla Manotti e mi tufferò nel suo Vite Bruciate.

Posted in noir - gialli.

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