Spagna, 1937: il Barcellona sta per intraprendere una tournèe in Messico, mentre sullo sfondo si agitano i tumulti del golpe franchista.
Spagna, 1937: una ragazza viene trovata morta nella garçonnière di un giocatore del Barcellona.
Sempre Spagna, 2008: un ragazzo messicano vaga per Barcellona alla ricerca delle sue origini.
“Rosa di fuoco” (soprannome della città di Barcellona quando era la “capitale” degli anarchici) è l’intreccio di queste tre vicende, un cannovaccio tutto sommato semplice e intuibile dalle prime pagine ma che si va ad inserire in un contesto ben descritto e affascinante, diramandosi poi come tre veri e propri romanzi (uno giallo, uno d’avventura e uno d’amore).
E’ la Barcellona fieramente repubblicana e antifascista, una città diversa da tutte le altre che ha fatto della sua squadra di calcio in divisa blaugrana la rappresentante del suo spirito: negli anni del franchismo tifare Barça è stata anche una scelta politica e il team calcistico incarna perfettamente l’animo della città e l’identità sociale della squadra trascenderà il solo aspetto sportivo e sarà simbolo di opposizione al fascismo di Franco e baluardo della catalanità.
Il libro sulle prime non mi ha convinto, nonostante la storia fosse più che appetibile: la successione abbastanza ripetitiva e ripetuta della successione dei capitoli mi stava facendo pensare di abbandonare la lettura ma non ho desistito e devo dire che non mi sono assolutamente pentito.
Le storie che si intersecano nella “vicenda ufficiale” prendono spunto da fatti realmente accaduti, come l’assassinio del presidente del Barca Josep Sunyol da parte delle falangi fasciste o la love story fra il giocatore culè Martì Ventolrà e danno al libro un respiro più maturo.
Interessante il lavoro di ricerca fatto dall’autore Emilio Marrese, giornalista di Repubblica, sugli incontri fra Ramòn Mercader (il giustiziere di Trockji) e i blaugrana nella loro tournèe in Messico, così come la presenza a Barcellona di Camillo Berneri e Orwell.
Probabilmente l’unicità di Barcellona e del suo simbolo più conosciuto è anche quello, la capacità di interpretare in maniera profonda l’epica del calcio: il mio primo approccio con questo (e con una certa narrativa di genere) è stato tramite Manuel Vasquez Montalban e il suo “il centroavanti è stato assassinato verso sera”, un’era geologica fa.
Ritornando alla “Rosa di fuoco”, i personaggi si muovono in maniera coerente sul palcoscenico dell’inizio della Guerra Civile spagnola e hanno anche una certa profondità psicologica, sia di gruppo (o di squadra) sia individuale riuscendo a essere interpreti delle ansie personali e collettive del periodo e di una città attraversata sia dagli attacchi franchisti sia dalle lotte intestine fra anarchici e comunisti.
Superata la (mia) difficoltà iniziale le pagine scorrono bene e ci si trova discretamente immersi nelle atmosfere dell’epoca, nella sua incertezza ma nel fascino di questa vicenda “sommersa”: merito dell’autore l’emersione di questa pagina di storia che si muove nel contesto più ampio della Storia, andando a descrivere un momento storico che, così come il calcio, ha una sua epica forte ed evocativa.