Islam bohemiene potrebbe essere il sottotitolo di questo divertente libro comprato casualmente in una febbricitante mattinata prima di mettermi a letto, catturato da un titolo piuttosto curioso. Mohamed Ben Mokhtar è un bel 40enne e ricco direttore di banca, che vive ancora nella casa in banlieue insieme alla madre, studioso e profondo conoscitore dell’islam. Mohamed è anche Basile Tocquard, suo alias, nome scelto per francesizzarsi e che usa all’esterno della sua comunità. Mohamed/Basile è vergine e costantemente pressato dalla madre che vorrebbe vederlo sposato al più presto, con una brava donna musulmana. Mohamed/Basile però si immagina tombeur de femmes e decide che la sua liberazione sessuale passa nel trasferirsi in una lussuosa casa in pieno centro a Parigi, dove possa abbandonare l’immagine di Mohamed e vivere da Basile.
Vita sessuale di un fervente musulmano a Parigi è un romanzo che parte divertendo, che racconta con humor e sprezzo la sessualità maschile dei musulmani, grazie alla pungente penna d Leila Marouane, tunisina con genitori algerini, costretta ad abbandonare il paese per la sua attività politica nel 1990. Un racconto che non vedo al centro la repressa sessualità di Mohamed bensì il tutto diventa uno sfondo di personaggi femminili, decisamente più forti e dignitosi del protagonista, raccontati da una donna che in qualche modo trasmette anche le sue esperienze di emancipazione e che descrive le difficoltà di essere donna e araba e conquistarsi una indipendenza che sfugga dal tradizionalismo religioso.
La vena grottesca con cui vengono narrate le “avventure” del non giovane Mohamed rimangono nelle descrizione e nella frattura che c’é tra il voler vivere seguendo la propria cultura di appertenenza e l’assimilazione della cultura del luogo in cui si vive. Lo scegliere un nome francese è uno di quei modi per sciogliere le prime fratture nel “mondo reale” ma allo stesso tempo una rinuncia alla propria identità culturale. E’ il conflitto che si vivono milioni ormai di giovani G2, i figli dei migranti che nascono in un paese che non gli appartiene e che soprattutto li rifuta. Altrettanto divertenti sono le conversazioni tra madre e figlio “luce dei miei occhi” in questa eterno scontro tra due generazioni piuttosto in confusione e in conflitto tra loro.
“No, ma chi si credono di essere questi bianchi, che vituperano, disprezzano, denigrano i nomi e le origini dei nostri antenati? Che affermano di aver seminato il bene sulle terre dei nostri avi mentre ancora oggi nel 2007, continuano a negarci i loro quartieri ricchi, i loro posti di lavori, le loro discoteche? Come se noi fossimo gli indigeni, i selvaggi delle nostre terre.
Lettura piacevole questa dell’autrice tunisina, sorprendente (infatti non vi anticipo niente!) e a tratti esilarante, nel raccontare la lotta per l’emancipazione sessuale (e alcolica aggiungerei) di Mohamed, uno che “ce l’ha fatta” ma che per farcela è stato costretto a rinunciare a una parte di se stesso, della propria cultura, della propria identità. Ma allora c’é riuscito davvero a farcela?