Torno di nuovo a recensire qualcosa e a rispondere a chi chiede più presenza sul blog. I problemi sono vari, di diversa natura, e colui su cui confidavo nei miei periodi di secca, il mio orobico socio, mi sta deludendo almeno quanto l’As Roma dell’ultimo anno. Trovo tempo (ma soprattutto concentrazione e stimoli) per leggermi in uno spazio di un giorno e una notte, la seconda parte di quello splendido fumetto che è Lo Scontro Quotidiano di Manu Larcenet. I due voleumi, usciti a distanza di un anno, ho avuto la fortuna di leggerli (recensione vol. 1– NdO) nel giro di un paio di mesi e di ritrovarmi a vivermi il quotidiano di Marco, fotografo free-lance, da dove lo avevamo lasciato: dopo il suicidio del padre.
Diviso
in due parti, viviamo con Marco l’elaborazione del lutto, attraverso i
racconti della Guerra d’Algeria come di un diario fatto di piccoli e
insignificanti dettagli. Una elaborazione difficile, almeno quanto il
rapporto che aveva il protagonista con lui, una elaborazione rabbiosa
attraverso i propri ricordi e quelli degli amici del cantiere in cui
lavorava. Ed è nel rapporto padre-figlio uno dei nodi principali della
narrazione di Larcenet, visto che nella seconda parte ci ritroviamo con
un Marco padre di una splendida bambina.
E pagina dopo pagine
affiorano tutte le paure che un uomo vive, la trasformazione del
territorio circostante, tra globalizzazione, crisi del capitalismo e
xenofobia. Ma non è un libro politico, assolutamente, escluso forse
nella folle corsa ubriaca di Marco e di Paco, inveendo contro tutto e
tutti, urla di chi è stato illuso e sconfitto. E’ un romanzo di un uomo
qualunque, disegnato benissimo e scritto altrettanto, che sa anche
farvi emozionare. Meno lineare del primo, questo secondo volume così
diviso e con un salto temporale in mezzo può anche sembrare incompiuto.
E forse lo è, almeno per me che avrei voluto vedere meglio sviluppati
un paio di personaggi e un paio di situazioni; oppure, visto che le
tensioni dell’ultimo periodo, me la sto prendendo con Manu Larcenet,
semplicemente perché non riesco a vincere mai o quanto meno non sempre,
i miei scontri quotidiani.
“Sta storia delle radici è solo
folclore, è un espediente romantico per dire in modo carino che hai
seguito le migrazioni industriali, come i gabbiani seguono i
pescherecci… solo per scroccare i resti altrui. Ma sai, oggi va di
moda avere delle radici di qua, delle radici di là… tutte stronzate!
Nient’altro che la celebrazione di una tradizione ottusa! Questa roba
ci tiene inchiodati a terra, ci impedisce di andare avanti. Le radici
lasciale ai ficus!”.