Negli ultimi 8 anni abbondanti, vivo con un gatto. Un gatto mai “mio” ma, nelle due case in cui ho vissuto, c’e’ sempre stato il gatto o la gatta del mio coinquilino o coinquilina: prima quella infame gattaccia nera di cui ho rimosso il nome (che feste che ho fatto quando sparì!), poi il bellissimo Roscio (anche se il nome datogli era Sasha, orribile!) e ora da 2 anni a questa parte mi ritrovo “accollato” quello zozzone di Brando.
Tutta questa premessa perché parlare di Cronachette, volume 1 e volume 2, di Giacomo Nanni è un modo per parlare di gatti e di gattari. Del rapporto che si instaura tra l’uomo e l’animale felino, per saperne un po’ di più e capirne meglio.
E’ un fumetto minimale, poetico, divertente, che vede protagonista in questa sorta di autobiografia, la gatta nera Esterina e l’auore stesso, Giacomo Nanni, nel corso degli ultimi 10 anni.
Esterina viene ritratta in tutti i suoi movimenti, nelle sue espressioni, nella sua pigrizia felina, oppure nei suoi surreali dialoghi con Giacomo, con l’animale di passaggio o gli orsetti della sorella dell’autore. E’ una gatta che sogna la luna, che si immagina mentre attraversa lo spazio, che si smarrisce e vuol tornare a casa, che tratta con il “padrone” il suo ritorno riuscendo ad estorcergli di tutto.
Fa sorridere scorrere le tavole di Nanni, fanno tenerezza le pagine che vedono la gatta che dorme nelle posizioni che sono poi quelle di ogni gatto. Mi fa ridere il fatto di non sentirmi l’unico che dialoga col gatto di casa e magari gli racconta i deliri del proprio quotidiano, visto che ogni volta penso che io stia impazzendo, oppure mentre cerco di spiegargli che ho finito i croccanti e dovrebbe essere “responsabilità” della mia coinquilina comprarli, visto che sulla carta il gatto è suo!
Ma non sono semplicemente due libri per gattari, anzi. Nanni dimostra di avere talento e di sapere arrivare nella maniera più delicata e semplice possibile al cuore dei propri lettori. Racconta storie di vita quotidiana, in maniera leggera, come le strisce di Schulz che vengono in mente sfogliando queste pagine che si lasciano divorare con estrema facilità e in brevissimo tempo.
“L’ottimismo è il grado zero della disperazione” afferma Esterina nel II volume. La cosa mi rinfranca, visto che in questo periodo, diciamo piuttosto confuso e merdoso (scusate l’eufemismo eh), di sicuro ho consumato buona parte del mio già scarso ottimismo, il che significa che sì sto come sto ma almeno non sono disperato.
Ps: vi consiglio vivamente il suo blog, che ho già linkato da qualche parte!