Il non aver letto mai nulla di Valerio Evangelisti è stata la molla per avvicinarmi al suo ultimo libro Tortuga nonostante in vita mia non sono mai stato amante delle avventure piratesche.
Non ho mai letto nessun libro e credo di non aver mai visto nessun film sui pirati, nonostante l’iconografia piratesca, il Jolly Roger
et similia, mi abbiano sempre suscitato simpatia. Dunque avvicinarmi a
questo romanzo è stato per me particolare e ho dovuto impegnarmi assai
per immaginarmi nei mari caraibici a fine XVII secolo.
Infatti siamo
nell’Anno Domini 1685, i giorni gloriosi dei Fratelli della Costa,
obbedienti a Luigi XIV, che ha ormai stretto un accordo di pace con la
Spagna, sono agli sgoccioli: le loro scorribande sono diventate troppo
scomode e il protagonista del romanzo, l’ex gesuita Rogério, arruolato
a forza, al servizio del tetro cavaliere De Grammont, partecipa
all’ultima grande avventura dei pirati: la presa, cruenta, della città
di Campeche, sulle coste messicane.
E’ un romanzo sugli uomini
ma soprattutto sulla predisposizione dell’uomo alla violenza e alla
cattiveria, ma è anche un romanzo sulla guerra e sulla barbarie che la
guerra produce.
“La mia è una visione del mondo che parte
dalla concezione homo homini lupus: la natura dell’uomo è l’animalità,
il potere, o i personaggi con istinti totalitari, devono giustificare
la propria condotta e allora ci costruiscono sopra un’ideologia”
afferma Evangelisti in una intervista e attraverso le sue pagine
troviamo il protagonista, l’ex gesuita Rogerio De Campos, trasformarsi
in un “vero pirata” dei Fratelli della Costa, assumendone in tutto o
quasi le caratteristiche, fino al tragico finale.
E’ un romanzo
sulla guerra, come dicevo, su questi atipici eserciti mercenari usati a
proprio piacimento dalle potenze mondiali dell’epoca, che usavano
queste bande come se fossero una specie di marina di guerra irregolare.
E’ un romanzo violento, dove c’è spazio per gli assalti, gli stupri,
gli omicidi di massa e le torture e poco molto poco per i sentimenti,
di cui quasi tutti i personaggi ne sono privi. Ma è anche un romanzo
storico, visto che l’autore ricostruisce in maniera dettagliata lo
scenario dell’epoca, grazie a certosine ricerche e traendo spunto dai
memoriali dell’epoca di alcuni personaggi che troviamo nel libro.
Chiudo ammettendo di non aver colto le analogie tra i pirati della Tortuga e i nostrani
pirati della rete come invece ci tiene a sottolineare l’autore “I
rapporti fra pirati erano frutto di relazioni gerarchiche, non tutti
godevano degli stessi diritti. Non bisogna farsi troppe illusioni sulle
isole autonome, e questo vale per tutte le comunità che sembrano rette
da democrazie. C’è stato un ‘68 anche in Giappone, breve ma intenso,
successivamente i leader del movimento vennero cooptati dai governi,
questo vale anche per la Rete: molti ribelli informatici sono cooptati
dalle Corporation. Un hacker moderno si ritiene libero e invece può
essere funzionale alle multinazionali.”