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Londonstani

“Ben gli sta, adesso si è fottuto la sua faccia da figlio di puttana, non avrebbe dovuto chiamarmi Paki, no?”. Dopo aver sputato queste parole Hardjit si fermò un secondo come se si aspettasse che prendessimo appunti o stronzate del genere. Quindi inserì un punto esclamativo dando un altro calcio in faccia al ragazzo bianco. “Non avresti dovuto chiamarci Paki, no, sporco gora”.
Inizia così Londonstani di Malkani Gautam, storia di 4 rudeboys anglo-indiani.
Romanzo d’esordio per l’autore, giornalista del Financial Times, che ci regala uno spaccato sulle sottoculture giovanili degli anglo-indiani, figli di immigrati alle prese con quella che è una vera e propria frattura identitaria, tra le tradizioni indiane trasmesse dalla famiglia e il modello british imposto dalle politiche istituzionali. Londonstani infatti è la loro nuova identità: indiani di Londra e orgogliosi di esserlo.

Attraverso le storia di questa gang di ragazzi, figli della middle-class immigrata, tra cellulari rubati, risse, il faticoso attenersi alle tradizioni familiari che si scontra con il machismo e l’omofobia, la cultura del rispetto e del consumismo proprie delle nuove sottoculture giovanili, l’autore prova a raccontarci quali siano le difficoltà che vivono i figli degli immigrati (in questo caso indiani) in Inghilterra, difficoltà sostanzialmente simili dappertutto. L’essere orgogliosamente Sikh, un po’ come l’essere nero tra gli afroamericani o l’essere beur tra i francesi, figli di nordafricani, delle banlieue. Una nuova identità che nasce dalla segregazione sociale e che si contrappone in maniera spesso violenta alle altre.

“Fino ai ’90 lo stereotipo voleva gli indiani diligenti, studiosi, pacifici. Non eravamo cool per niente. Andare in una discoteca del West End significava sottoporci a un giudizio tipo: “Non bevi, non sei vestito bene, non spendi i tuoi soldi, be’ vai a quel paese”. Nessuno superava l’esame dei bouncer. Con l’arrivo della musica house e acid c’è stato un cambiamento radicale: rifiuto dell’integrazione. I ragazzi asiatici hanno iniziato ad autosegregarsi. Secondo il sociologo Tariq Modood spesso le minoranze attraversano fasi di autosegregazione. Scoprendo una loro identità possono integrarsi più tardi con la società mainstream da una posizione di forza. Ecco, spesso accade questo.” Ci tiene a dire Malkani Gaulam in una intervista.

Un libro difficile da leggere per la sua scrittura che prova a riadattare lo slang stradarolo dei giovani londonstani, esperimento comunque soddisfacente se teniamo conto dell’impossibilità di certe traduzioni. Un romanzo di formazione ben riuscito che spaventa un po’. Se il riscatto sociale degli immigrati di seconda e terza generazione passa per una BMW, il gangstarap punjab o il culto del denaro, allora vorrà dire che sono già integrati, non sono affatto differenti dagli altri.

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