Vi è mai successo di comprare un libro, leggerlo dopo diverse settimane, per poi scoprire che si trattava di un’autentica perla? A me l’altro ieri, quando tra la notte prima e il pomeriggio del giorno dopo, mi sono letto sto fumettone di quasi 400 pagine, scritte e disegnate da Davide Reviati, dal titolo Morti di Sonno.
Affogarci in quel mare non è la cosa peggiore. Saperlo vi rende diversi. Ma puoi sempre stare sulla riva a far finta di aver capito tutto.
Un romanzo di formazione, con al centro un gruppo di ragazzini del quartiere Anic di Ravenna, quartiere popolare a ridosso del Petrolchimico, costruito a fine anni 50 da Enrico Mattei, per consentire agli operai di fare “casa e chiesa”. Ragazzini che alternano corse in bicicletta a partite di pallone, funamboli del futbòl e duri di provincia, tra acrobazie e corse per scappare dai grandi.
Così può succedere che un’estate lunga dieci anni finisca in mezzo minuto. Non c’è niente di strano. Niente di sbagliato. Così vanno le cose, ci abitueremo.
Diviso in capitoli apparrentemente scollegati l’uno con l’altro ma che vanno a formare la memoria che lega un gruppo di ragazzini. Una generazione nata e vissuta all’ombra della fabbrica, tra fughe di gas che costringeva a barricarsi dentro casa, tra i genitori che rientravano nella statistica asettica delle “morti bianche”, anche se di candido la morte sul lavoro non ha proprio niente. E la narrazione di Reviati fila via, con leggerezza e profondità, poetico nel tratto e nelle parole, nel raccontare questo gruppetto di amici, cresciuto insieme, spazzato via dall’eroina, che a cavallo tra gli anni 70 e gli 80, ha spazzato via più di una generazione di ragazzi di periferia. Perchè la periferia quella è, che nasca a ridosso di una metropoli o di un piccolo centro di provincia cambia poco. E fa un certo effetto, leggere e in qualche modo rileggere e riaprire squarci di memoria sulla propria adolescenza, sulle partite di pallone interminabili che neanche al calar del sole venivano sospese. Un’adolescenza asessuata, passata in un gruppo di maschi dediti al futbòl, alle stronzate varie, mentre tutto intorno a noi si trasformava, gli anno 80 restauravano e l’eroina la conoscevi vedendo i tossici farsi alla stessa fontanella dove andavamo a rifocillarci.
– Adesso sì, è davvero finita. Ne è valsa la pena? Almeno questo. Ne è valsa la pena? Sei stato felice qualche volta?
– Cazzo ne so. Non ci ho mai pensato. Non mi interessa la felicità. La felicità non ha margini di miglioramento.
La chiosa la dedico al titolo e all’espressione “morto di sonno”, una di quelle colorite espressioni che ormai si sono perse e sono diventate obsolete. Però a me piace, fa simpatia e mi fa sorridere oltre ogni a farmi riflettere sulla trasformazione del linguaggio stesso. Nostalgia canaglia cantava quell’odioso nanetto occhialutto dalla voce nasale. Ed erano gli anni 80.
Intervista radiofonica all’autore: http://www.ondarossa.info/newstrasmissioni/tabula-rasa-con-stefano-jorio-e-davide-reviati
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