Se ti spari quasi meta libro e fai le 4 del mattino, non è solo perché nella vita ti annoi. Non è neanche perché non sai che fare di sabato notte. Vabbè magari anche perché non sono mai stato un autentico viveur, ma provateci voi a staccarvi da Le Belve di Don Winslow. Che poi si chiami Le Belve e non I Selvaggi visto che il titolo originale è Savages, chiedete ai soliti cazzoni della Einaudi.
«Appartengo alla “generazione cinema”. Sono cresciuto a film e televisione, quando creo molte delle mie immagini sono cinematografiche. È inutile far finta che non sia così. Questo non mi preoccupa, fa parte della nostra cultura comune, dei nostri valori. È la natura stessa delle storie che va in questa direzione: nessuno può scrivere un romanzo con due uomini e una donna protagonisti senza pensare a Jules e Jim».
E allora sedetevi comodi quando prendete in mano questo romanzo. E’ adrenalina pura. Capitoli brevi, brevissimi. Ritmo che cresce pagina dopo pagina con tempi perfetti. Personaggi ben caratterizzati e a cui in ogni modo ci si affeziona. Una scrittura che attinge da quella cinematografica, come onestamente ammette l’autore stesso. Cinema e letteratura che si fondono, uno in funzione dell’altra.
«Il processo creativo varia a seconda della materia: per Il potere del cane ci sono stati anni di ricerche prima che cominciassi a scrivere. Con Bobby Z, il signore della droga è stato piuttosto un atto di immaginazione. Ma inizio sempre dai personaggi. Chi sono? Cosa vogliono? Prima devo conoscere le persone, fino a che non vedo il mondo attraverso i loro occhi non posso raccontare bene la storia. Le belve è iniziato più con l’idea di un atteggiamento: ribelle, insolente, orribile. Ho iniziato a concepire i protagonisti: chi aveva questo atteggiamento e perché? Un veterano delle guerre in Iraq e Afghanistan, una ragazza scansafatiche, un coltivatore di marijuana, tutti alienati dalla società, tutti arrabbiati in modi diversi. Quando li conosco, quando li posso sentire parlare, allora posso trovare il modo di metterli in pericolo».
Ben e Cholo, sono amici e soci d’affari. Il geniale coltivatore e il veterano. O è la loro amica e amante. Amici per la pelle, alienati come dice Winslow dalla società. Ben alterna gli affari alle missioni umanitarie in Myanmar o Sudan. Cholo, invece, a qualche “contratto” in zone di guerra. Persone agli antipodi ma più che amici. Ci sono solo loro due nelle loro vite, oltre a Ophelia. Ma improvvisamente tutto cambia, quando uno dei cartelli messicani decidono di mettere piede nel sud della California, costringendo Ben e Cholo a “lavorare per loro”. Tutto cambia e il “vivi e lascia vivere” che era l’essenza dei nostri protagonisti viene messo alla prova della realtà dei fatti. Il bivio e chiaro: o guerra o sottomissione a Elena La Reina, capa del cartello della Baja.
Abbiamo divinizzato ricchezza e potere.
Fatto del narcisismo una religione.
Alla fine, adoravamo solo noi stessi.
Alla fine, non é stato abbastanza.
Non è il “Potere del Cane” e né ha la presunzione di esserlo. Attinge al lavoro di ricerca fatto da Winslow sui cartelli della droga messicana ma per tirarci fuori un noir veloce e potente. Qualcuno potrebbe dire che sembra il Pulp Fiction messicano. Anche se continuo a pensare che sia Tarantino a fare man bassa di questo genere di letteratura per i suoi film. Di sicuro Winslow sa scrivere come Tarantino sa girare film anche se questo Le Belve pare che diventerà un film di Oliver Stone. Giusto. I tempi e il linguaggio, come già ho detto, sono perfetti. Tutto gira a meraviglia e mi sono piuttosto divertito e appassionato. Anzi è un Winslow ancora più essenziale e divertente, nel descrivere lo “stronzeggiare” di Cholo, la psicanalisi di Ben o gli orgasmi di O. E che dire dell’inizio del romanzo? Un capitolo composto da una sola parola: Vaffanculo!
«I noir sono un ottimo modo per raccontare la nostra società, anche se il migliore resta il buon giornalismo. Il noir è iniziato come resoconto alternativo della società, un’insistenza non sempre benvenuta nel mostrare i suoi lati più oscuri».
«Certamente, nella scrittura, il confine è dove vuoi essere. Mi piace scrivere al limite, e sul limite, quando sei sempre su un confine fisico e simbolico. È lì che sta il divertimento».
I confini di Winslow non sono solo geografici. Non è solo un muro che divide Messico e States, è qualcosa di molto più profondo. E’ lo stesso confine morale che dovranno superare i protagonisti per affrontare in ogni modo il cartello. Tutto non è più come prima e Ben e Cholo ci mettono poco a capirlo. Se e quale guerra faranno, lo scoprirete solo leggendo.
“Il mondo non è un supermarket della morale”.
Secondo me questo è il romanzo più debole di quelli letti di Don Wislow.
Premetto di averlo scoperto soltanto negli ultimi due anni ma ne ho divorato le opere .
Dopo “Il potere del cane” metto a ruota subito dopo “La lingua del fuoco” (California fire and Life) e poi “L’inverno di Frankie Machine” (per un ipotetico film De Niro dei tempi d’oro sarebbe prefetto). magari da gira’ qui a Milano che in questo periodo è molto “nera” con le sue sparatorie.
Trovo invece “Le Belve” meno coinvolgente de “La pattuglia dell’alba” più, fatemi passare il termine, adolescenziale come trama e scrittura. I personaggi non sono accattivanti come altri e il libro, di per sè molto breve in verità, non mi ha soddisfatto completamente.
Un abbraccio
Cmq il nome del personaggio è Chon, non Cholo…per il resto concordo, un libro bellissimo, quasi un capolavoro…