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Vite che non sono la mia

 Forse non ho avuto una grande idea nel passare da JR Moehringer a Emmanuel Carrère, altro apprezzato autore di vite degli altri. Avrei dovuto intervallare le due letture con qualcosa di diverso e invece mi sono buttato su “Vite che non sono la mia” sperando di capire se questo autore rientra davvero nelle mie corde.

Lei me lo aveva consigliato. Io avevo risposto con “sto 1a1 con Carrère, questo rischia di essere di essere il punto decisivo in un senso o nell’altro”. Sì, perché se Limonov non mi aveva del tutto convinto mentre L’Avversario molto e quindi ero ancora confuso e indeciso su un autore che invece è molto considerato e amato. Non che mi faccia condizionare ma volevo capire. E qualche elemento in più oggi ce l’ho.

Che Emmanuel Carrère sappia scrivere non serve che lo dica io. Eppure questo racconto di vite che non sono la sua non mi ha fatto empatizzare mai, neanche per un momento con l’autore o i protagonisti. Dalla coppia che perde la figlia durante lo Tsunami del 2004 in Sri Lanka (dove l’autore era in vacanza) fino al lutto della sorella della compagna che diventa uno spunto per raccontare l’amicizia tra la donna e un suo collega giudice, entrambi zoppi, entrambi alle prese con la malattia. Quindi non resta che farsi carico di queste tragedie e di queste storie per provare a raccontarle, per valorizzare vite vissute, per raccontare storie, per ritrovarsi. D’altronde il mestiere del narratore consiste proprio in questo.

Il problema di questo libro, che ha nel dolore, nel vissuto del dolore stesso e nella nostra capacità di viverlo e affrontarlo, una delle chiavi di lettura, è che la narrazione non funziona. Sarà che io non sono amante di questo genere ma mi sono incredibilmente annoiato. Ci sono, ovviamente dei passaggi belli, delle analisi sul dolore che ho riconosciuto eppure, come già ho scritto, non c’è un momento in cui ho empatizzato con la storia. Mai. Il problema è il solito che avverto con Carrère, per quanto lui si sforzi e scriva del suo cercare di essere il meno invasivo possibile, non gli riesce di non far pesare la sua presenza. Mai. Caratteristica che avranno notato in molti, anche tra quelli che lo amano ma che alla lunga diventa castrante in lettori non fan come me. Perché di questo si tratta.

“sapeva che, parlando di lui, avrei giocoforza parlato di me”

Ma allora perché non parlare di se in maniera più diretta? Perché non mettersi in discussione chiaramente e senza giri di parole e una retorica che a mio avviso non funziona? Perché non scrivere direttamente un romanzo autobiografico invece di mettere pezzi importanti della sua vita in ogni libro che scrive? Magari i miei ragionamenti sono troppo semplici ma io sono uno che legge libri e che si fa le domande che ha nelle proprie corde mica faccio altro. Quindi rimango con i miei dubbi fino al prossimo di Carrère visto che Lei mi dice che non capisco e che questo “è un libro bellissimo”. Provo a mettermi in discussione nonostante una delusione: quella di aver comprato e letto questo libro. Perché se ognuno ha vissuto i propri dolori anche quelli più profondi e drammatici è strano che non ci si identifichi mai, neanche in una riga, con Carrère e ciò che racconta.

Sarà per la prossima volta.

 

NB le altre recensioni di Carrère le trovate qui.

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