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L’arena dei perdenti

 Che il noir sia uno dei miei generi preferiti è indubbio. Che ci sia uno sfruttamento di questo genere lo è altrettanto. Poi ti arriva tra le mani “L’arena dei perdenti” di Antonin Varenne e pensi “oh cazzo finalmente un noir!”

Troppo spesso leggiamo gialli o thriller spacciati per noir. Troppo spesso siamo abituati alle storie di commissari o detective, sempre un po’ particolari: sognatori, un po’ ribelli, poetici, un continuo cliché che non rende merito a nessuno. Sia chiaro, io sono un fan della Vargas e di Adamsberg, non facciamo scherzi. Eppure ero stanco di tutti questi personaggi, che hanno reso il nor/thriller/giallo un genere che scarseggia in originalità. Ecco perché questo romanzo, del francese Varenne, è una boccata d’aria fresca nonostante sia duro, durissimo.

Due piani temporali, due protagonisti, per un romanzo che si intreccia tra la Parigi di oggi e la guerra in Algeria: “Il Muro” è un poliziotto di strada che a tempo perso fa il pugile. Anzi, probabilmente è il contrario: un pugile che a tempo perso fa il poliziotto. Duro, disposto per poche centinaia di euro a “pestaggi” su commissione, ama una prostituta e ha pochi amici, escluso il suo allenatore. Pascal Verini, operaio, filo-comunista, si ritrova per caso e per eccesso di impulsività, nell’Algeria degli anni 50, a combattere sotto l’esercito colonialista francese, entrando, suo malgrado, a far parte di un corpo speciale che gestisce un campo di prigionia per algerini rivoltosi.

Partendo da questo spunto, Varenne ci regala un romanzo puro: sporco come i protagonisti, nessun eroe trasognante ma pedine su una scacchiera infame. Due solitudini, vittime della violenza a cui hanno assistito e partecipato, due emarginati e disadattati che si ritroveranno al centro di una vicenda enorme loro malgrado. Ma “l’arena dei perdenti” è anche molto altro: è un’opera sull’infamia del colonialismo europeo, di denuncia della guerra d’Algeria, del rapporto che abbiamo sia come individui che come collettività con la memoria.

Onestamente funziona. E’ in alcuni passaggi un po’ ostico ma poi riesce, soprattutto nella II parte, ad aprirsi e regalare anche ritmo e colpi di scena. Titolo originale bellissimo, “Le Mur, le Kabyle et le Marin”, Varenne attinge alla storia personale familiare (quella di Pascal in realtà è la storia del padre) e alla storia del suo paese, la Francia. Ma soprattutto attinge alla storia dell’uomo e alla difficoltà di essere davvero liberi, di rifiutare la guerra, di non essere mai carnefici di qualcuno. E’  una complessità che l’autore riesce ad affrontare sostenuto da una scrittura spessa, senza fronzoli ma capace di regalare le sensazioni necessarie per empatizzare con i personaggi.

Posted in noir - gialli.