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Pro Patria

 “Noi governammo senza prigioni e senza processi”.
Non so quanti altri potevano mettere insieme Risorgimento, la lotta partigiana e le lotte anni 70/80. Non so quanti altri avrebbero il coraggio di parlare dell’inutilità del carcere e delle pene. Però non mi sorprendo mica se lo fa Ascanio Celestini, autore, cantore, come pochi ce ne sono in circolazione, autore di questo splendido Pro Patria, da cui è tratto l’omonimo spettacolo teatrale.

E’ la storia di un uomo in carcere che decide di scrivere a Mazzini, il rivoluzionario, il clandestino, il carcerato, quello che nell’Italia di 150 anni dopo sarebbe stato catalogato come terrorista. D’altronde basta poco ormai per essere un “terrorista”.

“Il personaggio – non io, ma il personaggio – quando parla del terzo Risorgimento parla della lotta armata degli anni ’70 e ’80. E ne parla come di una grande sconfitta, la stessa vissuta da una parte consistente di chi aderì alla lotta partigiana, che fu lotta armata, e del Risorgimento repubblicano, che subì una clamorosa sconfitta. Il Risorgimento repubblicano era nato soprattutto come volontà di andare oltre i regimi monarchici ottocenteschi dell’Europa successiva al Congresso di Vienna, così come la Liberazione nazionale è stata soprattutto una lotta contro il nazi-fascismo. Nel caso della lotta armata degli anni ’70, invece, c’era la paura che l’Italia diventasse un Paese fascista a tutti gli effetti, e non era un’ipotesi strampalata visti i colpi di Stato in Grecia, Argentina e Cile.”

La chiave di sviluppo della trama è semplice: un detenuto che sceglie di scrivere un discorso, mettendo insieme i pezzi della sua vita frullandoli a quelli dei libri (pochi) letti in carcere e chiede aiuto a Mazzini, perché è stato sconfitto, come lui.

“Quando è che avete pensato “siamo sconfitti”, Mazzini?”.

E dunque con la sua solita scrittura circolare, apparentemente confusa, dono di chi sa narrare come un canto, tanto che leggendolo ti sembra di ascoltare la voce nasale e veloce di Ascanio. Parole e musica per un romanzo che affonda le radici nella nostra storia, in quella della Repubblica Romana dell’1849, tanto quanto in quella della lotta armata, attraverso una scrittura molto originale, che ne fanno un libro piuttosto diverso da quello che si trova in circolazione. E Ascanio è magistrale, perfetto, nel cucire insieme tutti quei pezzi e farne una storia unica nella storia, tirando un filo rosso che le unisca tutte. E’ una storia di sconfitti, dignitosi anche nel perdere, reclusi dietro le mura di un carcere o uccisi da chi li voleva rinchiudere. E’ la storia di un detenuto, ma anche di Mazzini, dei partigiani, di Pisacane, dei fratelli Bandiera, di tutti quei nomi che impropriamente la toponomastica se n’e’ appropriata svuotandoli dell’enorme senso rivoluzionario. E starei ora a incollarvi pezzi di questo libro rischiando di ricostruirlo tutto, scomponendolo per ricomporlo in maniera diversa, quando invece sarebbe il caso di leggerlo, di comprarlo, rubarlo, farselo prestare, fate voi. Non riesco manco a recensirlo, a parlarne. E di solito sono una persona logorroica.

“Il mondo è la totalità dei fatti, non delle cose.. dunque il carcere non è una cosa che sta qui e non sta lì, ma un fatto che accade nel mondo. E se la galera è nel mondo, il mondo è anche una galera”.

Unico consiglio è l’ascolto di Tabula Rasa con Ascanio Celestini in studio che racconta e parla, ai miei soci radiofonici, di cos’è e dove nasce Pro Patria.
Ma soprattutto grazie Ascanio.

Posted in narrativa.

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