Io non sono un fan dei giallisti nordici. Se date una scorsa a questo blog c’è qualcosa recensito dal mio socio ma quasi niente da me. Siccome anche io ho i miei pregiudizi ne coltivo alcuni anche nei confronti di questi autori o autrici. Però a volte, spinto da immotivata voglia di contraddirmi provo a mettermi in discussione. Questa volta l’ho fatto leggendomi “Lo spettro” di Jo Nesbo, uno degli autori più promossi al momento.
“Beh e allora?” magari qualcun di voi si sta chiedendo. E allora niente. Diciamo che non ricapiterà presto di imbattermi in uno di questi autori. Il romanzo in questione è un intreccio di malavitosi che spacciano una nuova sostanza simile all’eroina, politica, poliziotti corrotti, tossici spacciatori e una specie di Bruce Willis alto, biondo e senza baffi, l’ex poliziotto Harry Hole, protagonista in altri romanzi di Nesbo. Il libro è denso, crudo e piuttosto lungo. L’autore disegna una Oslo spettrale che paragona a quella dei fumetti di Batman
“La Oslo di Harry Hole è una proiezione distorta della vera Oslo, come Gotham City di Batman lo è per New York. Però non è molto lontana dalla verità: la droga è diffusissima e i miei giri per la città durante la fase di ricerca me lo hanno confermato”.
Batman o no, gli intrecci e i colpi di scena che si susseguono nel romanzo infondo sono prevedibili. Le tinte oscure con cui tratteggia i personaggi tengono ma non escono dagli stereotipi di genere. Harry Hole come ogni protagonista che si rispetti è sempre abbastanza sopra le righe nel combattere la sua guerra personale contro “i cattivi” e per difendere il figliastro tossico da una accusa di omicidio, tanto da tornare dopo 3 anni da Hong Kong per risolvere il caso. Duro a morire come un Segal qualsiasi ma pieno di sentimenti nei confronti di un figlio che avrebbe potuto essere il suo e a cui è ancora legato.
“Già nel Leopardo il rapporto padre-figlio era importante, ma in quel libro Harry era il figlio. Qui lui è cresciuto, gestisce una nuova situazione ed è interessante perché non è il padre biologico: ha preso questa decisione solo per amore, è una scelta pura. Lui vive un contrasto che io capisco benissimo: tra la sua voglia di libertà e le responsabilità che si deve prendere. Ma è una contraddizione apparente, sono le persone più libere a sentire il peso, l’importanza degli impegni che prendono molto sul serio, sanno che sono gravosi e quindi nel loro intimo ne vorrebbero scappare. Poi però rimangono e lottano”.
Sensazioni a parte, il romanzo è un bel tomo da quasi 600 pagine. Sicuramente intrattiene ma continua a sfuggirmi il segreto del successo di Nesbo & Co. Limiti miei, ovviamente, ma non capisco. Eppure è un successo e una riconosciuta se addirittura un Ellroy arriva ad affermare “Il piu’ grande scrittore al mondo di crime sono io. Poi c’è Jo Nesbo, che mi sta alle calcagna come un pitbull rabbioso, pronto a prendere il mio posto appena tirero’ le cuoia”.
E’ rincoglionimento senile il suo? O sono io un perfetto deficiente?
(Ok già so la risposta ma non infierite, grazie).
PS si lo so che Nesbo si scrive Jo Nesbø ma è una palla ogni volta cercare sulla tastiera la ø.