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Rumble Bee

Torno a recensire ma soprattutto a leggere con continuità, dopo un paio di settimane di malattia. La stessa che bloccò Nando Mericoni “dall’andare nel Kansas City”. E riparto da un titolo che avevo pensato di presentare a Tabula Rasa, poi brillantemente sostituito dal mio socio del venerdì mattina, ossia Rumble Bee, ultima fatica della coppia Philopat-Duka, tre anni dopo il fortunato Roma KO.

Protagonista è Malcolm, un mix delle personalità e vite dei due autori, quarantenne precario del mondo dell’editoria. Standista scrittore, così si definisce, con ironia e rabbia. La stessa rabbia che lo porterà a rimettersi in gioco, a girare mezza Europa, mentre la crisi si diffonde a macchia d’olio, scopre l’ipocrisia che si celava dietro la presunta ricchezza occidentale, focolai di rivolta sconquassano la Grecia, come l’Inghilterra, la Spagna, fino ad attraversare con qualche scossa anche l’Italia. E Malcolm, frustrato e rabbioso, senza una lira in tasca, sottopagato e pronto a qualsiasi lavoro precario, compresa la fiera del kiwi di Latina, affronterà con determinazione quello che la vita gli offre, che è sempre troppo poco. “La felicità non si paga, si strappa” recitava uno striscione fuori un’occupazione romana e Malcolm forse è troppo rancoroso e incazzato per preoccuparsi di essere felice. La precarietà è questa. E’ la ricerca continua di rimanere a galla, impossibile pensare di essere anche felici. O sopravvivi o sei felice. Entrambe è difficile.

“Poi la visione si fa confusa. Torna a colori, anzi no! C’è solo il giallo, una nuvola gialla… Uno sciame. Un rombo d’api. Rumble bee… Sì Malcolm pensa anche a questo, ma soprattutto pensa anche che non è il momento giusto per addormentarsi”.

Se Roma KO aveva raccontato pezzi di movimento tra gli anni 90 e l’inizio del nuovo millennio, Rumble Bee racconta l’Italia dei nostri giorni. Del G8 universitario torinese, dove studenti e studentesse hanno alzato il livello dello scontro, fino al 14 dicembre del 2010, quando una fiumana umana ha deciso di scontrarsi per ore contro la polizia e tentare l’assalto al palazzo d’inverno. Un pomeriggio di liberazione e insurrezione, ahimè rimasto un po’ troppo fine a se stesso. In mezzo ci sono scorci, storie, aneddoti, su un movimento a tratti agonizzante ma capace di sorprendere, a volte, grazie al capitale umano di cui dispone, non sempre supportato da una intelligente analisi politica.

Tornando a noi e al romanzo, se avrete l’intelligenza si approcciarvi senza pretese, non rimarrete delusi. Forse qualche situazione o personaggio è un po’ troppo stereotipato però anche vero che si sorride nel “ritrovare” amici o persone conosciute, celate sotto falso nome. Un romanzo pop, un po’ lisergico, a tratti divertente, che si lascia leggere e scivola via. E questo forse è il pregio migliore, quello di lasciarsi leggere facilmente. E poi se lavorate nel campo dell’editoria, del “lavoro intellettuale”, allora avrete un ritratto spietato, devastante, di un ambiente piuttosto mediocre, fatto di sfruttatori e sfruttati, che di intellettivo e culturale non ha proprio niente. La cultura è merce, ormai. E viceversa.

Quì trovate la presentazione/intervista del libro fatta al Duka a Tabula Rasa.

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