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Avanti Po

In attesa che arrivi nelle librerie l’ultimo libro di David Peace, perdo il mio tempo leggendo questo libro inchiesta su quei buontemponi della Lega che guadagnano consensi anche nelle cosiddette regioni rosse del centro Italia, dal titolo Avanti Po, a cura di Paolo Stefanini.

Noiosetto nello sviluppo, il libro è diviso in tre parti: Toscana, Emilia Romagna e Umbria-Marche e vede tutta una serie di interviste ai vari esponenti della Lega, tra bar, sagre di paese e gli ormai famosi gazebo, piuttosto ripetitive che alla fine risultano, appunto, noiose e stancanti. Se la Lega al nord ha raccolto consensi tra il ceto-medio e la ormai ex classe operaia, disintegrata e disorientata dalla scomparsa della fabbrica, oltre che tra i padroncini e il popolo delle partite iva, al centro sta rosicchiando voti tra gli elettori del PCI. Cosa piuttosto ovvia viste le percentuali bulgare che raccoglievano fino a una decina d’anni fa.

”Faccio quel che faceva il mi’ nonno partigiano, combatto lo straniero” afferma uno dei tanti leghisti toscani intervistati mentre un altro aggiunge ”La sinistra da’ tutte le attenzioni agli ultimi, agli extracomunitari, e si dimentica dei penultimi, degli operai italiani, che sono meno chic da difendere”.


Soliti contenuti, xenofobi e razzisti, che evidentemente hanno appeal tra gli ex comunisti (ma direi tra gli ex elettori del PCI), una sorta di populismo non impregnato dal ridicolo immaginario celtico-padano che invece contraddistingue la Lega nel nord Italia. Un autonomismo e una identità forte come quella toscana al servizio della più semplice retorica e della becera xenofobia, che va così tanto di moda, e che attecchisce su un territorio dove la sinistra istituzionale ha completamente abbandonato ogni forma di attività politica, costituendo un ceto politico conservatore non differente da quello del centro-destra. In questo scenario tra i due conservatorismi, quello di centrodestra e quello di centrosinistra, si infila un partito come la Lega, che cavalcando il populismo imperante e attraverso una retorica movimentista, garantisce quella rottura tanto da far passare la Lega Nord come un partito di opposizione e di classe. L’esempio migliore è il loro atteggiamento e l’immaginario che coltivano: pur stando tuttora al governo, il linguaggio espresso potrebbe far pensare che loro nulla c’entrano con tutto ciò che accade o che viene deciso.

“Si denuncia la demagogia dei populisti come un pericolo per la democrazia stabilita – ma, perlomeno in cuor proprio, la si saluta come una terapia d’urto necessaria a scuotere la democrazia dal suo letargo. Pertanto, la potenza dei populisti è direttamente proporzionale alla mancanza di risposte della politica stabilita alle domande di un mondo radicalmente mutato” scriveva Ulrike Beck l’altro giorno sul giornale e la Lega ne è la riprova.
Così come è la prova che non serve obbligatoriamente una sovraesposizione mediatica o il possesso/controllo delle tivvù per raccogliere consensi. Al nord come al centro, un lavoro capillare, asfissiante, insieme a una presenza costante nei territori, soprattutto quelli più remoti, possono pagare altrettanto bene se non di più. Sanno parlare alla pancia delle persone e dargli le risposte che vogliono sentir dire o comunque più semplici: è colpa delle banche, dei preti amici degli immigrati e degli stranieri stessi che “invadono” il nostro territorio. La solita solfa che però paga.

“Quanto alla sinistra, più in generale, la crisi è stata lunga per me. Non li sopportavo più. Ci hanno tolto tutto ma anche la possibilità di essere arrabbiati. Sono diventati pettinati, istituzionali, politicamente corretti. Uno di sinistra non può essere moderato, equidistante, pacato… E non può sopportare le ingiustizie, perché le ingiustizie offendono il suo senso morale! Sono rimasto senza partito, orfano, spaesato. Poi finalmente ho trovato la Lega. Ma alla Lega dico attenzione: se gli operai ti votano in massa è perché in cambio vogliono essere ascoltati. La sinistra pensava che i lavoratori fossero suoi di diritto ormai. Acquisiti in eterno e abbiamo visto come è andata a finire…” Così parlo un delegato CGIL, iscritto alla Lega, ex operaio. Parole che più di ogni altra danno il senso a quello che sta avvenendo. Che piaccia o no, i vari Bossi, Maroni, hanno raccolto una fetta dell’elettorato di sinistra, disorientato e rimasto senza rappresentanza, attraverso discorsi semplici, xenofobi e razzisti certamente, ma fortemente identitari e di classe. Parola, quest’ultima, stupidamente uscita dal vocabolario della sinistra istituzionale e non, come se fosse qualcosa ormai desueta. Ma ahimè, che piaccia o no, è sempre una questione di classe.

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