Richiamato all’ordine dal mio socio, con insulti, improperi e velate minacce condite dal solito savoir faire del personaggio in questione, mi cospargo il capo di cenere e ritorno sulle pagine di Opinionista con una recensione di un libro forse vecchiotto ma che rischia di rimanere il classico underdog.
Uscito per i tipi di Einaudi la bellezza di 5 anni fa e ristampato nelle diverse collane della casa editrice, Amagansett è il classico libro folgorante: preso quasi per caso, mi ha inchiodato per due giorni come non succedeva da tempo.
Gli ingredienti ci sono tutti, per questo noir atipico: siamo nel 1947 ad Amagansett, una spiaggia di Long Island, che non è ancora diventata la località frequentata odierna, estensione senza discontinuità di New York. Allora era un villaggio di pescatori, isolato e selvaggio.
Qui Conrad Laborde, un reduce di guerra di origine basca che per sopravvivere fa il pescatore, trova impigliato nelle sue reti il cadavere di Lillian, la ragazza che ama. Non si darà pace finchè non avrà trovato e ucciso i colpevoli, rompendo un patto che si era fatto ai tempi della guerra.
Allora Conrad capì che avrebbe infranto la promessa fatta a se stesso: seppe con assoluta certezza che avrebbe ucciso un’altra volta.
Conrad svolgerà le indagini in prima persona, per poi coinvolgere il poliziotto Hollis, al quale lo accomuna una certa marginalità: se Conrad Laborde è un umile e rude pescatore che deve convivere con centinaia di demoni nel suo cervello, il detective Hollis è stato cacciato ad Amagansett come punizione, esiliato e coperto di infamia dai vertici della polizia newyorkese, la sua unica colpa quella di essere onesto.
Se la trama è abbastanza lineare ma solida, l’impianto di costruzione dei personaggi e del contesto è molto ricco e complesso.
Gli uomini e le donne della vicenda, così come i luoghi fisici, sembrano reali: le onde, la salsedine, la sabbia, la fatica della pesca, la fierezza degli uomini di mare sono vividi, tangibili.
Ci ho trovato Moby Dick e Corman McCarthy, in un’insieme originale e lontano dagli stereotipi. Un’America di un’epoca che sembra lontanissima, appoggiata sulle selvagge e maestose coste del New England.
Fra i ricordi della pesca alla balena e un mondo duro, antico, si muovono poi personaggi indimenticabili, a partire dal protagonista: ha combattuto con valore contro i nazisti in Europa e le sue esperienze di guerra affiorano con costanza, tormentandolo e creando una narrazione nella narrazione che dà maggiore profondità a una figura di spessore, un antieroe perfettamente collocato nel suo contesto fatto di fatica, gente umile e lealtà.
Raramente ho trovato personaggi così affascinanti e ben descritti, la tridimensionalità di questo libro passa dall’animo combattuto di questo pescatore, un eroe dal tono quasi epico, un Ulisse moderno tornato in una normalità aspra e alla “corona” di comprimari perfettamente in grado di stare in piedi da soli.
La morte di Lillian, ragazza perduta, e l’ostinata ricerca della verità porteranno alla scoperta di strati di segreti, di parole non dette, in un dipinto potente, carico, elegante.
Amore, vendetta, i silenzi del mare, le mani piene di tagli dei pescatori, la natura: troverete tutto in questo romanzo, nella sua costruzione equilibrata alla quale l’autore ha voluto dare la forma del giallo.
Noi siamo servi, proseguì, che si sfiancano nell’illusione di essere importanti, convinti di essere i veri padroni di casa. E invece nutriamo i batteri e poi moriamo, e loro ci divorano, noi, il loro veicolo, prima di passare oltre.