Trentanni dopo Amore Tossico, Antonella Lattanzi, giovane scrittrice barese trapiantata a Roma ci regala un romanzo su una coppia di eroinomani, Nikita e Paolo, che si muovono in una assolata Roma estiva, dal titolo eloquente Devozione.
Non volevo scrivere un romanzo spietato. Volevo scrivere un romanzo sincero – non autobiografico, sincero. Volevo scrivere sinceramente. Volevo scrivere quello che sentivo di dover scrivere, quello che premeva per essere scritto. Volevo scrivere una storia che parlasse di ognuno di noi. Delle nostre dipendenze. Di come la dipendenza ci sia connaturata, di come sia la faccia “deragliata” del nostro desiderio di felicità. Quando scrivo non voglio emettere giudizi, voglio solo raccontare.
E ne esce fuori qualcosa che provoca disagio nel leggerlo, di fastidioso, tanto può provocare la vista di un tossico fatto di “robba” su qualche panchina romana. Scritto sostanzialmente bene, la Lattanzi esplora e disegna una realtà che evidentemente conosce e che ha studiato, fatta di “pere, Sert, piccoli espedienti per alzare i soldi per farsi, rincorse ai pusher”, e lo fa attraverso la storia di Nikita, la bambina guerriera, innamorata di Paolo, compagno di amore e di roba, a cui è per entrambe assolutamente devota. Due personaggi tratteggiati bene, soprattutto lei, autentica protagonista delle trecento pagine, dolce e vulnerabile, rabbiosa e devota, ribelle ormai senza anima, come se il destino fosse un ineluttabile destino fatto di pere.
Ma tutto sommato il romanzo regge, nonostante abbia sbagliato a portarmelo sulle assolate coste sarde, che parla dei quartieri in cui vivo o mi agito, che parla di quella infame sostanza che è l’eroina, tutte cose che conosco bene e con cui attorno sono cresciuto. Ho visto sparire quasi una intera generazione e qualche (per fortuna pochi) amico, ho visto sparire l’eroina per essere sostituita da altre sostanza, altrettanto merdose, ma socialmente più accettabili. Da anti-proibizionista e non consumatore continuo a provare meno fastidio per un tossico di eroina che di cocaina. Ognuno è figlio delle proprie esperienze.
Un punto in più al romanzo, che tra i difetti a mio avviso c’è una scrittura a tratti troppo confusa e la storia del rapimento di Annette, studentessa francese incontrata nelle prime pagine del libro sottocasa di un pusher, decisamente un po’ troppo appesa e stiracchiata, c’è sicuramente la descrizione della quotidianeità dell’eroinomane e una bella descrizione dei sert e del metadone, da far impallidire i proibizionisti convinti. Pseudo e annoiati psicologi, operatori di strada distratti e il metadone, la droga di stato, quella sostanza che viene somministrata per aiutare i tossicomani a uscire dalla “rota” ma che ne genera un’altra, fisicamente più ostica da debellare. I vari boia alla Giovanardi, che fanno dell’antiproibizionismo una crociata e un business, impallidirebbero alla lettura del romanzo della Lattanzi, ma quasi quasi li sottoporrei a una lettura obbligatoria, sul modello delle proiezioni a cui è costretto l’Alex di Arancia Meccanica.
L’eroina non è il tema del mio libro, ma l’argomento (devo questa distinzione, che non ricordavo, a un mio caro amico). È utile dirlo e ripeterlo, perché in questo modo è possibile sia concentrare l’attenzione sul tema del libro – la dipendenza – sia ricondurre il mio romanzo nella tradizione di tutti i romanzi. E cioè quella di raccontare una storia intorno a qualcosa che sia, si presume, di interesse personale (per lo scrittore) e comune (per il lettore). Il mio intento, quando scrivo, è di “parlare anche di te”, e soprattutto di fare in modo che i protagonisti reali del romanzo siano, allo stesso tempo: i personaggi, lo stile, la lingua, il ritmo, il tema, le singole parole, la fabula, e anche i non detti, gli spazi bianchi che vorrei fosse il lettore a riempire.
Appunto la devozione, la dipendenza, l’eroina come la metafora della più forte dipendenza possibile tanto da pensare leggendo che il libro della Lattanzi fosse stato scritto dopo una cocente delusione d’amore, una storia finita male. L’unica dipendenza paragonabile a sostanze come l’eroina (o la cocaina aggiungo io) è proprio quella quando si ama tanto un’altra persona, tanto da diventare dipendente da esse, tanto da esserne devoti.