Orbene, letto in due giorni, tutto di un fiato, il nuovo romanzo di Massimo Carlotto, insieme al collettivo Mama Sabot, uscito come al solito per e/o che in questi anni ha dato una nuova definizione al noir mediterraneo, riprendendo quello che su questo tema aveva scritto Jean Jacques Jean Claude Izzo [obbligatori tutti i libri usciti in italiano].
Sono un fan di Carlotto dalla serie dell’Alligatore, scoperto quasi per caso anni fa nella biblioteca del mio paese d’origine, dopo aver letto “il fuggiasco”. Sebbene qualche libro della serie sia un po’ sotto tono rispetto ad altri me li sono sempre divorati, forti di una scrittura secca e di una descrizione sempre vivida di quella che è diventata l’Italia, i meccanismi sotterranei che nella provincia più profonda vengono messi in atto: Carlotto affresca perfettamente un nordest fatto di industriose fabbrichette ma anche di traffico di esseri umani, terra di confine fra un mondo ancora complesso e in parte sconosciuto (l’Est) e quella mentalità gretta che ha dato spazio politico alla Lega Nord o a Forza Italia.
Questo libro si inserisce nella tradizione dell’utlizzo del romanzo di genere per descrivere quello che sta sotto la cenere, i movimenti nascosti dei poteri (qualunque essi siano) in Italia portandoci in Sardegna e sbattendoci in faccia alcune verità nascoste legate alla servitù militare alla quale l’isola è costretta e a tutto l’indotto delle nuove guerre, fra contractors e uranio impoverito.
Pierre è un disertore, ex militare in Afghanistan (dove si destreggia fra vari traffici), ricattato da varie branchie di servizi deviati e costretto a fare il lavoro sporco: così deve dare un occhio a Nina, una veterinaria che sta investigando sulle morti di alcune bestie attorno a un poligono tecnologicamente avanzato della NATO.
Carabinieri, ex commilitoni, maggiorenti locali e strutture di sicurezza privata sono i personaggi di un coro fatto di intrecci di soldi e potere, movimenti nel sottobosco, affari militari che vanno a intaccare la salute di tutti.
E’ un libro a tratti disperato, dove non si intravede una via d’uscita certa, dove l’inquinamento da armi sofisticate ci riporta all’insabbiamento delle morti dei reduci da Balcani, Afghanistan o Iraq – ovvero tutte quelle zone dove i soldati italiani sono andati a “esportare la democrazia”, con un poligono che non solo è utilizzato dalle forze armate ma è anche dato in affitto alle multinazionali delle armi per i propri esperimenti.
Carlotto e i Mama Sabot hanno eseguito un lavoro di ricerca meticoloso, portando con crudezza il romanzo d’inchiesta italiano in Sardegna, terra che non è solo di sole e vacanze ma che nasconde segreti tremendi e intrecci pericolosi.
Molto bello l’intreccio fra i vari personaggi, fra i gruppi di pressione e potere che stanno con il fiato sul collo a Pierre, in uno Stato dove il confine fra pubblico e privato è molto labile, legato a bande di affaristi, trafficanti d’armi, militari e politici senza scrupoli.
Le 176 pagine sono volate, crude e dure, senza arrivare ai punti di lirismo di “la terra della mia anima” ma comunque svelando parti di una storia collettiva – quella italiana – che spesso vengono nascoste, seppellite.
un articolo di Massimo Carlotto sul Manifesto propone una riflessione sullo stato del giallo e del noir in Italia
passandoci in vespa il territorio a ridosso del salto di quirra sembra fossilizzato in una immobilità secolare. le preesistenze delle civiltà nuragiche, una chiesetta fondata dai pisani (quando solcavano i mari e prima di diventare fasci), le immancabili capre e l’arsura estiva.
fa un certo effetto costatare che proprio la rarefazione, lo svuotamento dalla presenza umana e la cristallizzazione ad un tempo indefinito di un territorio permetta a forze e presenze “oscure” di lavorare. Non il caos dunque ma il silenzio. Un silenzio tutt’altro che contemplativo.
perdas de fogu è un bel noir, mediterraneo si, ma più asciutto e diretto di un romanzo di Izzo: Carlotto si sofferma di meno a descrivere le ambientaizoni e i personaggi e va dritto sull’obiettivo.
Sulla sindrome di Quirra vedi pure un dossier di indymedia italia del 2002
sono bruciato nonchè distratto in questo periodo, chiedo venia per il lapsus ;-)…
volevi dire jean claude 🙂