E’ vero, scrivo poco sulla pagina di recensioni narrative più trendy del movimento… sarà che ogni tanto mi trovo a bestemmiare quando noblogs mi mangia una recensione e mi demoralizzo, sarà che sono pigro, sarà che ho avuto poco tempo, sarà che ogni tanto sono anche cazzacci miei…
Ritorno sfavillante sulle pagine di opinionista con l’ultimo lavoro di Petros Markaris su Bompiani, giallista greco che piano piano si sta ritagliando una sua fetta di popolarità in quel mare magnum che è considerato il “noir mediterraneo”, nonchè autore “di genere” preferito da mio padre, ma questo è un altro paio di maniche.
Il protagonista dei libri di Markaris è il commissario Kostas Charistos, appassionato lettore di dizionari greci [“Ditemi una parola qualsiasi e vi dimostrerò che è di origine greca”: è il paradosso che il padre della sposa, nel recente film di successo “Il mio grasso grosso matrimonio greco”, pronuncia al banchetto nuziale per dimostrare la supremazia della propria terra di origine…], commissario della polizia di Atene e già protagonista, fino ad ora, di 5 romanzi ambientati fra la Grecia metropolitana e le isole elleniche.
In questo ultimo lavoro Markaris lascia un po’ le atmosfere ruvide e dure di un’Atene sempre più in cambiamento e sempre più violenta, dove le nuove mafie venute dall’est spadroneggiano e cercano accordi con i vecchi padroni del vapore.
“La balia” è ambientato nell’antica Costantinopoli, l’attuale e turca Istanbul, città dove è nato l’autore [faceva parte di quella minoranza tanto accuratamente descritta nel libro prima di emigrare in austria, tant’è che si considera comunque un autore di formazione germanica] e che ci viene “restituita” in tutta la sua complessità di città multietnica [almeno un tempo], piena di stratificazioni etniche, storie e Storia.
Il Commissario Charistos si trova in vacanza con la moglie Adriana [grande cuoca ma motivo numero 1 dello stress del commissario] per visitare le bellezze di Santa Sofia in uno di quei tremendi viaggi organizzati [sali sul pullman, scendi dal pullman, sali sul pullman, scendi dal pullman… la guida, la cena alle 19.30 nella sala dell’albergo, la festa finale per la comitiva…. brrr…], mentre la figlia Caterina, studentessa in legge, è ad Atene alle prese con le diatribe sul suo matrimonio.
Neanche in un periodo di relax il commissario Charistos può “staccare” dal lavoro: uno dei pochi greci rimasti a Istanbul lo approccia per cercare la sua vecchia balia, Maria, che sarebbe dovuta tornare dalla Grecia a trovarlo ma della quale si sono perse le tracce.
In una città che non conosce e all’inizio osteggiato dal suo collega turco [ma nato in Germania] Murat, il commissario si mette alla ricerca dell’anziana, un po’ per scappare alla routine del viaggio organizzato e un po’ per pura curiosità.
Si imbatterà in una serie di omicidi che riguardano anche cittadini greci – e quindi obbligato dai suoi superiori a rimanere in Turchia, odi atavici rimasti sepolti nel passato, storie famigliari che si intrecciano, vendette personali, il tutto incastonato con precisione e minuzia nel contesto di Istanbul/Costantinopoli e soprattutto dei meandri della residua comunità dei “romèi”, i greci di Turchia.
La trama è rigorosa e ben strutturata, i personaggi sono costruiti in maniera impeccabile, sono corposi, verosimili [un personaggio su tutti la moglie del commissario turco Murat e la sua libera scelta di portare il velo islamico] e l’ambientazione – e le contraddizioni che emergono da questo punto di passaggio fra Oriente e Occidente, fra antico e moderno – ben dipinta e descritta fanno che questo ultimo lavoro di Markaris sia assolutamente superiore all’ultima sua uscita [i labirinti di Atene], che a mio avviso aveva significato una netta scivolata di stile rispetto ai romanzi precedenti.
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