Meridiano Zero, diciamocelo, ci ha sempre abituati abbastanza bene: Raymond, Wilson, Pagan, Frègni, il David Peace che tanto fa ammattire il mio socio… un bel catalogo, per quanto mi riguarda, spulcio sempre volentieri fra le loro produzioni.
Fra le ultime uscite mi sono lasciato tentare da “Il vento del Texas” di James Reasoner.
Il Texas è uno dei luoghi più evocativi degli USA, è il mito del West, dei cowboys e dei rodeo. E’ stato una repubblica indipendente e ha giocato un ruolo importante nella Guerra di secessione, essendo fra gli Stati Confederati più intransigenti.
In Texas vive e ha ambientato alcuni dei suoi romanzi Corman McCarthy, texano è Joe Lansdale.
Per citare Steinbeck “Il Texas è uno stato d’animo. Il Texas è un’ossessione. Ma soprattutto, il Texas è una nazione in ogni senso della parola.”
Il Texas è la Lone Star, la stella solitaria che spicca sulla bandiera dello Stato, è un territorio immenso e percorso dal vento.
E’ questo vento che scuote le foglie di Fort Worth mentre Cody, un investigatore privato, viene ingaggiato da una ricca famiglia per ritrovare Mandy, la figlia sparita nel nulla.
In un noir abbastanza convenzionale – ma molto cinematografico e con protagonisti discretamente delineati – Cody si troverà fra le strade di un Texas che sta piano piano stemperando la propria tradizione con cactus di plastica e folklore per turisti a cercare la cantante di un trio musicale: sarà stata rapita o è scappata con il fidanzato della sua migliore amica nonchè suo amante?
Senza essere niente di particolarmente brillante o innovativo, questo libro ha il pregio di essere solido: i dialoghi reggono e Cody – pestato a sangue dal cattivo di turno ma che non abbandona la ricerca della ragazza nonostante le costole rotte – non è grottesco nella sua stoicità.
[nota dalla regia: è uscito un nuovo libro di Lansdale della serie di Hap & Leo, me lo comunica ora il mio socio… rimaniamo basiti entrambi, non ne sapevamo nulla e ciò è sbagliato].
Fra tranelli, imboscate e [relativi] colpi di scena il romanzo si sviluppa in maniera organica, con una conclusione plausibile e con uno stile abbastanza asciutto, senza dimenticare una certa profondità e pienezza dei personaggi principali (senza però essere particolarmente intensi), che si muovono nella provincia americana di inizio anni ’80, descritta in maniera sufficiente.
C’è chi grida al capolavoro per questo libro, cita Chandler (non scherziamo) e Crumley (fra i maestri di un certo hardboiled anni ’70 e ’80) come pietre di paragone: io non mi sono lasciato affascinare così tanto per un libro certamente onesto e discretamente costruito in tutte le sue parti ma che di sicuro non indimenticabile.
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