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Maschio bianco etero

 Succede che inizi un romanzo come “Maschio bianco etero” di John Niven, autore scozzese già recensito su questo blog, e la prima impressione che ti fai è quella sbagliata. Stai lì e pensi “no, cazzo no, non una storia alla Bret Easton Ellis non la leggo manco se mi legano” e ti sale lo stranimento da scelta sbagliata. Allora ti dai tempo, pensi ok arriviamo almeno a una cinquantina di pagine prima di lasciarlo e…

E niente. E il romanzo si presenta per qualcosa di diverso da quello che mi è sembrato all’inizio. Succede certo ma nasce dal fatto che ho troppo detestato American Psycho di BEE e forse ne sono rimasto un po’ traumatizzato. Un po’ come quella serie tv, Californication, dove si racconta la storia di un affermato quanto giovane scrittore, in crisi ovvio, tra scopate, cocaina e pugni nel jet set di Hollywood. Tutta roba che puoi racchiudere con un enorme “masticazzi” molto liberatorio. E nonostante che Kennedy Marr, protagonista assoluto di questo romanzo, segua un po’ questo filone (irlandese, Hollywood, crisi, sceneggiature per cinema, sesso e alcol) la storia sviluppata da Niven nonostante possa sembrare (e un po’ lo è) una feroce critica del mondo letterario-accademico-cinematografico etc etc etc fondamentalmente è la storia di un uomo alle prese con la poca attitudine alle responsabilità, che vive il decennio tra i 40 e i 50 in maniera drammatica, nel vano tentativo di non diventare adulto. Temi molto simili a quelli di molti altri maschi bianchi etero. Come me.

Perché arriviamo al dunque: molte delle ansie, paure o incapacità di Kennedy Marr, sono prerogativa di molti suoi coetanei. Me compreso. E lasciate perdere dove è ambientato il romanzo. Conta poco. Arrivando al nocciolo della questione: la sua crisi è la crisi di molti di noi. Una crisi di genere, come se avessimo ancora meno strumenti di prima per capire il tempo in cui viviamo.

“- Vediamo se ho capito bene. Vogliono darmi mezzo milione di svanziche per andare a vivere nel merdosissimo Warwickshire… per un anno, nello stesso campus della mia ex moglie, a insegnare scrittura crativa… – Kennedy riuscì a pronunciarla come se fosse “sodomia pedofila” – a un branco di rincoglioniti?
– Esatto, tesoro.”

Non so se empatizzerete col protagonista, magari no. Non so neanche se lo troverete divertente o pungente, caratteristica della scrittura di Niven stesso. Forse non è migliore di “A volte ritorno” eppure ha il suo perché. Non è un capolavoro ma si legge velocemente e mette sul piatto alcune ossessioni di noi indecenti maschi bianchi etero che hanno superato i 40 anni.

“Nelle risse da bar, come in ogni altra forma d’arte, l’importante è evitare i luoghi comuni. Bisogna inventarsi angolazioni impreviste e prospettive oblique. Il tuo incipit dev’essere potente e inaspettato”

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